La web tax europea: un passo avanti, ma rimangono limiti evidenti. Il Sole 24Ore, con Sergio Boccadutri, 24.03.2018

Un’imposta sul fatturato non è commisurata alla capacità contributiva e incide sull’acquirente. C’è anche un rischio protezionismo.

La web tax proposta dalla Commissione Europea rappresenta un progresso rispetto alla situazione attuale in cui ogni paese va per la sua strada, mettendo a rischio il mercato europeo dei servizi digitali, ma presenta limiti evidenti. La Commissione propone innanzitutto di apportare delle modifiche al concetto di stabile organizzazione in modo tale da fare dei passi nella direzione di una soluzione di lungo periodo nella quale la suddivisione fra paesi di un’unica imposta sui profitti consolidati avverrebbe, come già oggi gli stati USA, sulla base di vari parametri, tra cui il valore aggiunto e il fatturato. Questa soluzione richiede però accordi internazionali che appaiono molto lontani non solo a livello Ocse, per l’opposizione degli Stati Uniti, ma anche a livello europeo. Ha invece una buona probabilità di essere attuata, in quanto non richiede accordi internazionali, una seconda proposta della Commissione che viene definita “soluzione transitoria” e che consiste sostanzialmente in un’imposta indiretta sul fatturato realizzato dalle grandi aziende digitali in ogni singolo paese. I limiti principali di questa tassa, che secondo la Commissione darebbe un gettito di 5 miliardi qualora l’aliquota fosse fissata al 3%, sono due. Il primo è che un’imposta sul fatturato non è commisurata alla capacità contributiva del contribuente e può mettere in ginocchio un’impresa che non abbia utili. Il secondo limite è che si tratta di un’imposta indiretta, che, al pari dell’IVA, finisce per incidere principalmente sull’acquirente, rendendo più costosa la trasformazione digitale dell’economia europea. Al riguardo è utile ricordare che le attività che si vorrebbero assoggettare alla nuova imposta – essenzialmente i ricavi pubblicitari o da intermediazione in quelle attività in cui sono gli stessi utenti a mettere a disposizione grandi masse di dati – sono già soggette all’Iva, come chiunque può verificare guardando le fatture che riceve via mail, ad esempio da Google. La nuova imposta aggiungerebbe dunque un 3% del fatturato non su tutte, ma su un sottoinsieme delle attività digitali e limitatamente ai rapporti fra imprese. Quindi per certi versi, si sta facendo molto rumore per nulla, tanto più che la nuova tassa sarebbe un costo deducibile ai fini dell’imposta societaria. In effetti, lo scopo dell’intero esercizio è quello di tassare gli utili delle imprese digitali che sono solo una frazione del loro fatturato. Si obietta che quella piccola frazione di cui siamo alla ricerca è quella che “davvero conta”, perché è l’unica pagata dagli azionisti delle multinazionali del web e non dal consumatore. L’obiezione non sembra rilevante ai fini del gettito per lo Stato, ma è senz’altro corretta se ci si preoccupa dell’equità del prelievo. Il problema è che questa obiezione è sostanzialmente priva di implicazioni operative dato che, in assenza di un accordo internazionale sulle imposte dirette, è gioco forza che le soluzioni nazionali, anche se definite nell’ambito di un accordo europeo, portino a imporre delle nuove imposte che vengono presentate come imposte dirette, ma che in realtà sono imposte sul fatturato e, come tali, finiscono per incidere sul consumatore.
C’è un terzo problema che potrebbe emergere qualora gli Stati Membri, o alcuni di essi, non accettassero quella che attualmente, non a caso, è una semplice raccomandazione contenuta nel preambolo della Direttiva, che consiste nel consentire la deduzione dall’imposta societaria anche quando la nuova imposta fosse pagata in un altro Stato Membro. In tal caso, si finirebbe per legittimare una sorta di dazio, o comunque di barriera protezionistica, che ogni paese europeo potrebbe imporre alle imprese di tutti gli altri paesi europei. Un’impresa italiana che esporta servizi digitali in Francia, ma non ha lì una stabile organizzazione, sarebbe penalizzata rispetto a un concorrente francese che venda gli stessi servizi in Francia e viceversa. Uno schema del genere, simile alla versione della web tax che era stata approvata dal Senato nell’ultima legge di bilancio, non è accettabile in quanto produce una evidente frammentazione del mercato europeo. In linea di principio, si tratta di un problema che può essere risolto, ma questo passo è politicamente difficile. Peraltro, l’intera operazione, è soggetta a grandi incognite politiche all’interno dell’UE e nei rapporti con gli Stati Uniti, che ritengono che questa soluzione sia punitiva per le loro grandi imprese digitali. Dal punto di vista delle imprese, anche di quelle made in USA, va messo in conto che la norma europea sarebbe un argine alle soluzioni nazionali “fai da te” e creerebbe un quadro di riferimento discutibile, ma chiaro e applicabile in tutta l’Unione Europea.

di Giampaolo Galli e Sergio Boccadutri

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“Così si può tornare a fare impresa” Giampaolo Galli su Europa – 16/10/2014

C’è un clima di grande soddisfazione nel mondo delle imprese che giustifica appieno la frase di Giorgio Squinzi sul sogno che si avvera. Per la prima volta da che si ricordi un governo annuncia provvedimenti che superano le aspettative più ottimiste degli imprenditori. Nessuno si sarebbe aspettato l’abolizione, o comunque la radicale riforma dell’art. 18, l’azzeramento della componente lavoro dell’Irap e dei contributi per i nuovi assunti. 

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No al ricalcolo delle pensioni. Commento ad un articolo di Tito Boeri, Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca – 22/01/2014

Tito Boeri, Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca con il loro “Pensioni: l’equità possibile” del 14.01.2014 propongono di chiedere un “contributo di equità” ai pensionati, basato sulla differenza tra pensioni percepite e contributi versati. Ricostruendo le storie dei contribuenti attraverso il cosiddetto “forfettone” (un metodo indicato in un decreto del 1997) calcolano lo scostamento tra pensione effettiva e contributivo. Per tale scostamento propongono di ricavare il contributo sulla base di un’aliquota progressiva pari al 20, 30 e 50% rispettivamente per pensioni tra 2 e 3 mila euro, 3 e 5 mila euro e superiori a 5 mila euro. Secondo le loro stime si ricaverebbe un risparmio di spesa pari a circa 4,2 miliardi di euro. Leggi tutto “No al ricalcolo delle pensioni. Commento ad un articolo di Tito Boeri, Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca – 22/01/2014”

Web tax: ecco l’odg accolto dal governo alla Camera

Oggi, nel corso dell’esame alla Camera della legge di stabilità, gli on.  Lorenza Bonaccorsi,  Paolo Coppola, Marco Causi e Giampaolo Galli hanno presentato un ordine del giorno in materia di web tax . Di seguito il testo.

Ordine del Giorno n. 43 all’ Atto Camera: 1865 – “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2014)

La Camera,

premesso che:

lo scorso 22 ottobre 2013 la Commissione Europea ha creato un “Gruppo di Esperti di Alto Livello” allo scopo di esaminare la migliore soluzione per regimi di tassazione dedicati al settore dell’economia digitale in Europa, con attenzione sia ai benefici che ai rischi di diversi approcci;

lo scorso 13 gennaio 2012 la Commissione Europea ha avviato un percorso per la semplificazione degli adempimenti IVA transfrontalieri per il commercio elettronico ed i servizi di telecomunicazione, primo passo verso l’introduzione di uno sportello unico per gli scambi UE a partire dal 1 gennaio 2015;

a partire dal 1 Luglio 2014 l’Italia avrà la presidenza del Consiglio Europeo e potrebbe affrontare il tema della tassazione nell’era globale in quella sede, avendo così a disposizione adeguati strumenti giuridici;

l’articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea sancisce il principio della libertà di stabilimento e della libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati all’interno di uno spazio senza frontiere interne;

il Presidente del Consiglio, On. Enrico Letta, in occasioni pubbliche ed istituzionali, non ultimo nel corso del proprio intervento al Digital Agenda Annual Forum organizzato da Confindustria lo scorso 21 ottobre 2013, ha ribadito la centralità dell’Agenda Digitale per l’Italia quale riforma per lo Stato e la necessità di un cambio culturale e di mentalità verso le nuove tecnologie e l’innovazione, in grado di creare posti di lavoro e aumentare la competitività del Sistema Paese:

Considerato che:

il comma 17-ter dell’AC 1865, disegno di Legge recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)”, ha introdotto a seguito dell’approvazione dell’emendamento 1.1702, nuova formulazione, l’obbligo per i soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità on line, anche attraverso centri media ed operatori terzi, ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA italiana;

la disposizione prevede inoltre che gli spazi pubblicitari on line e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca, visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti titolari di partita IVA italiana

a quanto risulta, non è stato esperito l’obbligo di notifica relativo a progetti delle regolamentazioni tecniche relative  ai prodotti e, quanto prima possibile, ai servizi della società dell’informazione, alla Commissione e agli altri Stati membri prima che queste siano adottate nelle legislazioni nazionali, come previsto dalla direttiva 98/34/CE (ex 83/189/CEE).

tale notifica in fase di progetto e il successivo esame con conseguente valutazione del contenuto, al fine di diminuire il rischio di originare barriere ingiustificate tra i diversi Stati membri, si propone di garantire trasparenza e controllo sulle regolamentazioni indicate;

il Servizio Studi della Camera dei Deputati – Dipartimento Bilancio, nel proprio documento di sintesi delle proposte di emendamento approvate all’AC 1865, con riferimento all’emendamento 1.1702, nuova formulazione approvato nella seduta del 13 dicembre 2013, sottolinea come appaia opportuno verificare la compatibilità con la normativa comunitaria in materia di libertà di circolazione di beni e servizi;

come riportato da alcune fonti di stampa lo scorso 9 dicembre, il Governo avrebbe predisposto parere negativo alla proposta emendativa già presentata al Senato sottolineandone il contrasto con i principi di libertà di stabilimento e di libera circolazione delle merci dei servizi e dei capitali di cui all’articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) ed inoltre con i principi di cui all’articolo 41 della Costituzione, che stabilisce la libertà dell’iniziativa economica privata, che implica anche la libertà di commerciare fuori dei confini del territorio nazionale;

Considerato inoltre che:

la previsione che siano visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, esclusivamente spazi pubblicitari online e link sponsorizzati acquistati attraverso soggetti titolari di partita IVA italiana è contraria alla natura stessa della rete di internet, e la sua implementazione sarebbe possibile solamente attraverso la creazione di un sistema di filtraggio della rete che non esiste in alcun Paese democratico;

già oggi l’IVA sui servizi prestati per via elettronica è dovuta nel paese di destinazione quando il committente sia soggetto passivo e nelle transazioni tra un soggetto non stabilito nel territorio dell’Unione e un consumatore finale; dal gennaio 2015, lo stesso principio varrà anche per le transazioni B2C intracomunitarie. Considerato che si fa esplicito riferimento al solo caso di committenti che siano soggetti passivi, si tratta di una misura senza effetto alcuno sul piano del gettito IVA;

Il meccanismo, pur non esplicitato, sembrerebbe quello di costringere le imprese straniere ad aprire partita IVA per poter dimostrare, attraverso tale requisito formale, che dispongono di una “stabile organizzazione” nel nostro paese, così da realizzare il presupposto per l’applicazione delle imposte sui redditi a tale organizzazione riferibili. Tuttavia, è ingiustificato ritenere che sussista un’equazione necessaria tra la titolarità della partita IVA e una “stabile organizzazione”; e, anzi, proprio il già citato regolamento n. 282/2011 all’articolo 11 comma 3 preclude questa conclusione, sostenendo che «il fatto di disporre di un numero di identificazione IVA non è di per sé sufficiente per ritenere che un soggetto passivo abbia una stabile organizzazione

senza adeguate norme interpretative, la norma costringerebbe a chiudere le decine di migliaia di agenzie che in Italia acquistano pubblicita’ dai grandi gruppi internazionali e la rivendono a inserzionisti italiani, a totale nocumento quindi del sistema produttivo italiano;

allo stesso modo, la norma metterebbe in una situazione di illegitimità tutti i contratti già siglati da inserzionisti italiani, che potrebbero condurre anche a richieste di risarcimento danni nel caso la norma in questione fosse effettivamente dichiarata contraria alle disposizioni europee.

impegna il Governo:

a notificare quanto prima la norma alla Commissione UE, come previsto dalla direttiva 98/34/CE (ex 83/189/CEE).

ad intraprendere ogni iniziativa urgente utile a evitare che la norma introdotta procuri un danno anche solo indiretto allo sviluppo dell’economia digitale nel nostro paese, eventualmente anche sospendendo gli effetti della norma introdotta, con particolare riferimento al sistema produttivo italiano, e valutare l’opportunità di prevedere meccanismi correttivi della disposizione in oggetto e aggiungere meccanismi di forte impulso allo sviluppo dell’economia digitale nel nostro Paese in un primo provvedimento utile.

On. Lorenza Bonaccorsi

On. Paolo Coppola

On. Marco Causi

On. Giampaolo Galli

Giampaolo Galli ospite a tg La7 Night Desk – 19/12/2013

Giampaolo Galli e Lucio Malan ospiti di Flavia Fratello a Night Desk, il programma di informazione serale di La7 con analisi e approfondimenti, rubriche e rassegna stampa per un dibattito sull’attualità politica e sociale.

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