Gli effetti del superbonus 110% sull’economia e sul bilancio pubblico

di Giampaolo Galli, Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero, Ocpi, 2 marzo 2022.

Usando i dati pubblicati il 1° marzo dall’Istat, si fornisce una stima dell’effetto del superbonus 110% sull’attività economica e sul bilancio pubblico. Secondo i dati dell’ENEA, il superbonus 110%, dal momento della sua introduzione (luglio 2020) fino a dicembre 2022, è costato 68,7 miliardi e ha attivato 62,5 miliardi di investimenti. Nel dibattito pubblico, questi dati sono stati utilizzati per sostenere che il superbonus 110% ha sorretto l’economia in questi anni; alcuni hanno addirittura argomentato che l’impulso all’economia sarebbe stato tanto forte da generare un gettito fiscale dello stesso ordine di grandezza della spesa sostenuta dallo Stato e che dunque il superbonus si sarebbe autofinanziato. Nel seguito si mostra che, nella migliore delle ipotesi, il superbonus ha contribuito ad incrementare la crescita del Pil dello 0,5 per cento nel 2021 (su una crescita totale del 7 per cento) e dello 0,9 per cento nel 2022 (su una crescita totale del 3,7 per cento). Si tratta di incrementi importanti, ma non tali da consentire di attribuire al superbonus il grande rimbalzo dell’economia italiana dopo le chiusure del 2020. Il bilancio del superbonus per lo Stato è ben lungi dal pareggio: su una spesa di 68,7 miliardi ne sono rientrati, sotto forma di maggiori imposte e contributi sociali, poco meno di 14. La riclassificazione di alcuni bonus decisa da Istat, in base ai criteri definiti da Eurostat, ha peggiorato il deficit degli anni dal 2020 al 2022, ma, anche in virtù del blocco deciso dal governo, migliora il deficit tendenziale del 2023 e degli anni successivi.

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I tassi d’interesse della BCE, confronti internazionali e con gli anni ’70

di Giampaolo Galli, Francesco Scinetti e Nicoletta Scutifero, Ocpi, 23 gennaio 2023.

Malgrado gli aumenti degli ultimi mesi (più 2,5 per cento da luglio 2022) la BCE rimane una delle banche centrali con i tassi di interesse nominali e reali più bassi al mondo. Quasi tutti i paesi avanzati (Norvegia, Australia, Corea del Sud, Regno Unito, Israele, Canada e Stati Uniti) hanno un’inflazione simile o più bassa di quella dell’Eurozona e tassi di policy più alti. Ciò testimonia la prudenza con cui fino ad ora si è mossa la BCE. Tuttavia, la lezione degli anni ’70 ci dice in modo inequivoco che le banche centrali non possono rimanere inerti di fronte ad un aumento dell’inflazione come quello che si sta registrando negli ultimi mesi. Il rischio dell’inerzia è che le aspettative inflazionistiche si radichino nei comportamenti degli operatori economici e che alla fine siano necessarie azioni antinflazionistiche più drastiche che causerebbero una recessione più profonda di quella che si sarebbe avuta con politiche più tempestive. L’indipendenza della banca centrale, una conquista degli ultimi decenni, certo non impedisce che gli economisti, i commentatori e anche i politici discutano dell’appropriatezza delle scelte della banca centrale. Le audizioni della BCE presso il Parlamento Europeo sono state concepite proprio per far sì che essa risponda delle proprie scelte. È però evidente che le esternazioni dei membri del governo devono essere particolarmente caute e non devono dar luogo al sospetto che si voglia sottomettere la BCE ai voleri di questo o quel governo.

La nota è stata ripresa da Repubblica in questo articolo del 21 gennaio 2023.

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