Una nuova pace fiscale: le proposte del centrodestra

di Giampaolo Galli e Cristina Orlando, Ocpi, 3 settembre 2022

Il programma del centrodestra, alla voce fisco, prevede “pace fiscale e ‘saldo e stralcio’: accordo tra cittadini ed Erario per la risoluzione del pregresso”. Il programma della Lega è più specifico, considera il magazzino di crediti fiscali dell’Agenza delle Entrate- Riscossione e valuta che ben “545 miliardi potrebbero essere integralmente riscossi, a condizione che le modalità siano effettivamente percorribili”. Sulla base dei risultati dell’esperienza delle precedenti tre “rottamazioni” (2016, 2017 e 2018) e del “saldo e stralcio” del 2018, si ritiene che gli incassi effettivi al massimo possano essere nell’ordine di qualche decina di miliardi, non delle centinaia. Se venissero reiterati i provvedimenti come nelle scorse “rottamazioni”, la stima puntuale – da aggiornare se nuovi dettagli venissero resi noti – sarebbe di un incasso effettivo di 21 miliardi, scaglionati in cinque anni. Va anche osservato che il continuo succedersi di provvedimenti condonistici ha l’effetto di incentivare l’evasione perché il contribuente può contare sul prossimo provvedimento di condono. I proventi delle “rottamazioni” e del “saldo e stralcio” vengono considerati “one off” da Eurostat e dunque le entrate che essi producono non contribuiscono a ridurre il deficit strutturale, che è quello che conta per le regole fiscali europee (ora sospese fino al 2013).

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Decreto Sostegni e il condono sulle vecchie cartelle esattoriali.

Che cosa ci possiamo aspettare dal nuovo Decreto Sostegni e perché è stato fatto il condono sulle vecchie cartelle esattoriali. Ne discutono gli economisti Carlo Cottarelli, Giampaolo Galli e Alessandro De Nicola in una nuova puntata di Economia in quark.

Qui il link al video su “La Stampa”

LE ALTRE PUNTATE
– Dopo lo sblocco dei licenziamenti, rischia di perdere il lavoro anche chi lo merita ma non ha il contratto giusto
– Il dopo Zingaretti, il blocco delle esportazioni di vaccini e la consulenza McKinsey
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– Ristori e regolamentazione in tempo di Covid, che tipo di bilanciamento dovrebbero avere
– Ecco quali sono i rischi politici ed economici del nuovo governo Draghi
– Arrivano le nuove stime del Fmi per l’economia globale e le difficoltà per i vaccini nell’Ue
– Che cosa sta dietro alle diverse filosofie economiche del Recovery plan per l’Italia e del piano di Biden per gli Usa
– Due crisi di governo a confronto: l’assalto a Washington e il Recovery Fund
– I tre fatti economici più importanti del 2020
– Il Cashback agisce sulla nostra psicologia ma basta condoni: sono un incentivo all’evasione
– Recovery Fund: risolti i problemi europei, ora bisogna affrontare quelli interni
– Un “no” del governo sul Mes causerebbe danni a livello europeo bloccando i fondi per il Covid
– Mes: niente aiuti se l’Italia si isolasse con un nuovo veto
– Si troverà l’accordo sul Recovery Fund? Ecco gli scenari tra facce feroci di Ungheria e Polonia e debito pubblico italiano
– Secondo Sassoli il debito pubblico italiano va cancellato dall’Europa: non è il modo più intelligente per procedere
– Il resoconto dei quattro anni di Trump e cosa aspettarsi da Biden
– Gli effetti della seconda ondata: se cambiasse la solidarietà europea resteremmo in balia del mercato– Così cambiano le prospettive economiche alla luce dell’accelerazione dei contagi
– C’è una graduale ripresa dell’attività economica, ma non possiamo permetterci di sprecare le risorse europee
– Attenzione all’illusione di fare con il Recovery Fund un’indigestione di infrastrutture, ma non risolvere i problemi strutturali del Paese
– Caso Tridico-Inps: il problema è l’aumento di stipendio o la persona che lo riceve?
– È vero che ogni anno il Nord Italia ha sottratto 60 miliardi di euro al Sud?– Recovery Fund, la confusione sui numeri è grande: facciamo chiarezza su traferimenti, prestiti e chi li spenderà– Recovery Fund: la posizione dell’Italia è debole, deve impegnarsi a mettere la testa a posto per il futuro– Le anime diverse di questo governo di coalizione portano a troppi rinvii dannosi per l’Italia– Mes e ItalExit: se l’Italia non accetta l’accordo si rischia l’addio all’Ue– Il piano Colao è davvero utile o è un elenco di ovvietà? Forse prima di tutto andrebbe riformata la giustizia– Bonafede vuole riformare il Csm con la tipica ingenuità grillina, ma non risolve nulla. Servono più “laici”
– Covid-19, nonostante le enormi cifre stanziate non si eviterà la recessione
– Gli scenari economici dopo il Covid-19, quali scelte dovrà fare l’Italia?– Possiamo fidarci dell’Europa? Quali sono i rischi del Mes e cosa comporta la sorveglianza sui conti italiani– Non sappiamo ancora cosa sia il recovery fund ma l’Europa renderà sostenibile il nostro debito– Troppo debito pubblico? Stavolta la Bce che ci metterà al riparo– Il Mes non comporterà austerity, se non prendiamo quei soldi è un danno per gli italiani– Con il Mes potremmo avere finanziamenti illimitati, ma la parola Mes è tossica in Italia– Dopo lo scontro la Nord e Sud Europa, una soluzione sui Coronabond si può trovare– In momenti come questi va fatto più deficit, quando cresceremo si ridurrà il debito– L’espansione decisa dalla Bce per il Coronavirus è straordinaria ma è stato comunicato in maniera orrenda– I mercati esagerano ma l’aumento dello spread non dipende dall’epidemia italiana– Deficit pubblico mai così basso da 10 anni: “Il merito? L’aumento della pressione fiscale”– L’Europa non può uscire dalla crisi senza potere di tassazione– Il coronavirus genererà una crisi economica– Perché l’Italia non riesce a crescere?

La web tax europea: un passo avanti, ma rimangono limiti evidenti. Il Sole 24Ore, con Sergio Boccadutri, 24.03.2018

Un’imposta sul fatturato non è commisurata alla capacità contributiva e incide sull’acquirente. C’è anche un rischio protezionismo.

La web tax proposta dalla Commissione Europea rappresenta un progresso rispetto alla situazione attuale in cui ogni paese va per la sua strada, mettendo a rischio il mercato europeo dei servizi digitali, ma presenta limiti evidenti. La Commissione propone innanzitutto di apportare delle modifiche al concetto di stabile organizzazione in modo tale da fare dei passi nella direzione di una soluzione di lungo periodo nella quale la suddivisione fra paesi di un’unica imposta sui profitti consolidati avverrebbe, come già oggi gli stati USA, sulla base di vari parametri, tra cui il valore aggiunto e il fatturato. Questa soluzione richiede però accordi internazionali che appaiono molto lontani non solo a livello Ocse, per l’opposizione degli Stati Uniti, ma anche a livello europeo. Ha invece una buona probabilità di essere attuata, in quanto non richiede accordi internazionali, una seconda proposta della Commissione che viene definita “soluzione transitoria” e che consiste sostanzialmente in un’imposta indiretta sul fatturato realizzato dalle grandi aziende digitali in ogni singolo paese. I limiti principali di questa tassa, che secondo la Commissione darebbe un gettito di 5 miliardi qualora l’aliquota fosse fissata al 3%, sono due. Il primo è che un’imposta sul fatturato non è commisurata alla capacità contributiva del contribuente e può mettere in ginocchio un’impresa che non abbia utili. Il secondo limite è che si tratta di un’imposta indiretta, che, al pari dell’IVA, finisce per incidere principalmente sull’acquirente, rendendo più costosa la trasformazione digitale dell’economia europea. Al riguardo è utile ricordare che le attività che si vorrebbero assoggettare alla nuova imposta – essenzialmente i ricavi pubblicitari o da intermediazione in quelle attività in cui sono gli stessi utenti a mettere a disposizione grandi masse di dati – sono già soggette all’Iva, come chiunque può verificare guardando le fatture che riceve via mail, ad esempio da Google. La nuova imposta aggiungerebbe dunque un 3% del fatturato non su tutte, ma su un sottoinsieme delle attività digitali e limitatamente ai rapporti fra imprese. Quindi per certi versi, si sta facendo molto rumore per nulla, tanto più che la nuova tassa sarebbe un costo deducibile ai fini dell’imposta societaria. In effetti, lo scopo dell’intero esercizio è quello di tassare gli utili delle imprese digitali che sono solo una frazione del loro fatturato. Si obietta che quella piccola frazione di cui siamo alla ricerca è quella che “davvero conta”, perché è l’unica pagata dagli azionisti delle multinazionali del web e non dal consumatore. L’obiezione non sembra rilevante ai fini del gettito per lo Stato, ma è senz’altro corretta se ci si preoccupa dell’equità del prelievo. Il problema è che questa obiezione è sostanzialmente priva di implicazioni operative dato che, in assenza di un accordo internazionale sulle imposte dirette, è gioco forza che le soluzioni nazionali, anche se definite nell’ambito di un accordo europeo, portino a imporre delle nuove imposte che vengono presentate come imposte dirette, ma che in realtà sono imposte sul fatturato e, come tali, finiscono per incidere sul consumatore.
C’è un terzo problema che potrebbe emergere qualora gli Stati Membri, o alcuni di essi, non accettassero quella che attualmente, non a caso, è una semplice raccomandazione contenuta nel preambolo della Direttiva, che consiste nel consentire la deduzione dall’imposta societaria anche quando la nuova imposta fosse pagata in un altro Stato Membro. In tal caso, si finirebbe per legittimare una sorta di dazio, o comunque di barriera protezionistica, che ogni paese europeo potrebbe imporre alle imprese di tutti gli altri paesi europei. Un’impresa italiana che esporta servizi digitali in Francia, ma non ha lì una stabile organizzazione, sarebbe penalizzata rispetto a un concorrente francese che venda gli stessi servizi in Francia e viceversa. Uno schema del genere, simile alla versione della web tax che era stata approvata dal Senato nell’ultima legge di bilancio, non è accettabile in quanto produce una evidente frammentazione del mercato europeo. In linea di principio, si tratta di un problema che può essere risolto, ma questo passo è politicamente difficile. Peraltro, l’intera operazione, è soggetta a grandi incognite politiche all’interno dell’UE e nei rapporti con gli Stati Uniti, che ritengono che questa soluzione sia punitiva per le loro grandi imprese digitali. Dal punto di vista delle imprese, anche di quelle made in USA, va messo in conto che la norma europea sarebbe un argine alle soluzioni nazionali “fai da te” e creerebbe un quadro di riferimento discutibile, ma chiaro e applicabile in tutta l’Unione Europea.

di Giampaolo Galli e Sergio Boccadutri

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