Tassi di interesse al minimo storico: quanto possono durare?

di Giampaolo Galli, Il Riformista, 3 marzo 2021

I titoli di Stato di molti paesi europei sono da tempo attorno allo zero o addirittura negativi. Ma cosa comporta questa realtà per la dinamica del debito pubblico? E quanto potrà durare questa condizione molto favorevole?

I titoli di Stato di molti paesi europei sono da tempo attorno allo zero o addirittura negativi. Anche i rendimenti dei titoli di  Stato italiani sono negativi fino alla scadenza a tre anni. Questo è in parte l’effetto della politica monetaria iper espansiva decisa dalla Bce per far fronte alla pandemia, ma già prima molti paesi avevano sperimentato tassi di interesse negativi. In ogni caso, questi dati di fatto spiegano perché il Presidente Draghi abbia detto che la sostenibilità del debito pubblico italiano dipende essenzialmente dal tasso di crescita che si realizzerà nei prossimi anni.

Ma cosa comporta questa realtà per la dinamica del debito pubblico? E quanto potrà durare questa condizione molto favorevole? La risposta alla prima domanda ci porta all’interno dello straordinario paradosso che è rappresentato da tassi di intessere negativi. Nessuna delle grandi teorie del tasso d’interesse aveva contemplato questa possibilità. Il tasso di interesse che si osserva sul mercato dovrebbe avere due grandi ancore. La prima è l’impazienza del risparmiatore che preferisce consumare oggi piuttosto che aspettare, a meno che l’attesa non sia adeguatamente remunerata dal tasso di interesse. La seconda àncora è rappresentata dal rendimento del capitale:  anche in questo caso, c’è una rinuncia a consumare oggi per investire in capitale produttivo e  il tasso di interesse, a volte definito naturale,  è il rendimento del capitale. In queste due ancore non c’è spazio per tassi di interesse negativi. Una teoria assai diffusa vede il tasso di interesse come quel prezzo che fa sì che il risparmio sia uguale all’investimento. Questa teoria è stata utilizzata la Lawrence Summers dell’Università di Harvard per stabilire l’ipotesi della “stagnazione secolare”: secondo questa teoria, nel mondo -da ben prima della pandemia- c’è eccesso di risparmio o, guardando il rovescio della medaglia, insufficienza di investimenti: una grande quantità di risparmio si riversa su pochi investimenti e finisce per essere costretto ad accettare rendimenti negativi. Questa è certamente una possibilità, a patto però di dimenticarsi i due pilastri a cui dovrebbe essere agganciato il tasso d’interesse: l’impazienza e il rendimento del capitale.   

E a patto di sorvolare su un altro straordinario paradosso. Con tassi negativi indebitarsi  è conveniente anche se si fa un uso inefficiente dei fondi presi a prestito. All’atto di indebitarsi infatti lo Stato acquisisce un flusso di cassa in entrata a fronte del quale otterrà in futuro altri flussi in entrata. Dal punto di vista del debitore, non esiste dunque una problema di scegliere quanto spendere oggi e quanto tassare domani, a carico delle future generazioni. Indebitandosi lo Stato può spendere di più sia oggi che domani. Per lo Stato questo è l’albero della cuccagna perché il conto lo pagano gli investitori, non le future generazioni. Lo stesso avviene quando il tasso di interesse è positivo, ma inferiore al tasso di crescita dell’economia.

Alcuni economisti ritengono che questa situazione, per quanto intrisa di paradossi, possa durare a lungo e fanno notare che i tassi a lungo termine, anche a trent’anni, sono molto bassi, segno che i mercati non si aspettano un ritorno dell’inflazione. Fanno altresì notare che, in prospettiva secolare, gli alti tassi di interesse (reali) che furono sperimentati negli anni ottanta sono stati un’eccezione.

Queste previsioni sono interessanti, ma sarebbe davvero imprudente prenderle alla lettera. Un minimo di valutazione del rischio deve essere fatta e i possibili contro argomenti sono tanti. Il primo è che i tassi a lungo termine in dollari sono già saliti notevolmente: erano all’1% nell’estate scorsa e sono ora al 2%; nelle ultime settimane hanno risentito della decisione della nuova amministrazione americana di varare un insieme di misure per ben 1,9 trilioni di dollari.  Il secondo è che per i  motivi detti, per uno Stato che si finanzia a tassi negativi, o comunque inferiori al tasso di crescita dell’economia, indebitarsi conviene: anzi, emettere debito è come fare un investimento con un valore attuale certamente positivo. Proprio per questo è facile prevedere che molti stati si indebiteranno, anzi lo hanno già fatto. Nell’anno terribile del Covid, il debito pubblico mondiale ha raggiunto il massimo storico, attorno al 100 per cento del Pil globale; a fronte di questo debito c’è un risparmio negativo di dimensioni gigantesche che potrebbe facilmente eliminare il (presunto) eccesso di risparmio globale. Se ciò accadesse, alla fine della pandemia, le banche centrali comincerebbero a preoccuparsi e ad aumentare i tassi d’interesse. Secondo alcuni, si tratta di una prospettiva lontana. Può darsi, ma oggi tutti diciamo che occorre creare una società più resiliente, ossia capace di affrontare situazioni di stress. E allora è giusto ricordare che anche negli anni settanta sembrava che i tassi reali rimanessero bassi per sempre; il risveglio fu amaro e il conto dell’errore di allora lo stiamo pagando ancora oggi.

Per quanto potremo contare su tassi di interesse ai minimi storici?

25 febbraio 2021di Giampaolo Galli, Inpiù,

Fino a quando i tassi rimarranno ai minimi storici? Si può immaginare che rimangano attorno allo zero o addirittura negativi per i prossimi decenni, ossia ben oltre la fine della pandemia?

La politica monetaria rimane iper espansiva nell’area dell’euro, come in tutte le altre maggiori aree del mondo. “La Bce – ha detto Christine Lagarde – continuerà a sostenere tutti i settori dell’economia, preservando condizioni finanziarie favorevoli durante il periodo pandemico, come ha fatto fin da inizio crisi”. I bassi tassi giustificano l’affermazione di Draghi che oggi la sostenibilità del debito italiano dipende dalla crescita.

Ma fino a quando i tassi rimarranno ai minimi storici? Si può immaginare che rimangano attorno allo zero o addirittura negativi per i prossimi decenni, ossia ben oltre la fine della pandemia? La risposta di alcuni economisti è tendenzialmente positiva. Secondo Olivier Blanchard, ad esempio, l’esperienza storica suggerisce che gli alti tassi (reali) sperimentati negli anni ottanta siano stati un’eccezione. Inoltre, i tassi a lungo termine rimangono molto bassi in quasi tutte le maggiori aree monetarie, il che suggerisce che i mercati non vedano rischi di inflazione. Infine, si argomenta che il sistema economico mondiale sia in una condizione di “stagnazione secolare”, in cui vi è eccesso strutturale di risparmio; ciò comporta che sia negativo il tasso di interesse di equilibrio, quello cioè in cui il risparmio uguaglia l’investimento.

Queste previsioni sono interessanti, ma sarebbe davvero imprudente prenderle alla lettera. Un minimo di valutazione del rischio deve essere fatta e i possibili contro argomenti sono tanti. Il primo, di cui ha dato conto Stefano Micossi su Inpiù, è che i tassi a lungo termine in dollari sono già saliti notevolmente: erano all’1% nell’estate scorsa e sono ora al 2%; nelle ultime settimane hanno risentito della decisione della nuova amministrazione americana di varare un insieme di misure per ben 1,9 trilioni di dollari.  Il secondo è che, finché i tassi rimangono negativi, indebitarsi conviene perché equivale a fare un investimento il cui valore attuale netto è certamente positivo: si ha un cash flow positivo oggi (l’incasso in contropartita dell’emissione del debito) in cambio di un cash flow ancora positivo domani (l’interesse che lo Stato riceve dai sottoscrittori, tipicamente sotto forma di prezzi all’emissione molto sopra la pari). L’investimento ha valore netto positivo anche quando il tasso è inferiore al tasso di crescita. Se indebitarsi conviene, molti Stati decideranno di farlo, come in effetti stanno facendo quasi tutti per contrastare le conseguenze dell’epidemia, e come facevano gli Usa già negli anni precedenti. A fronte dei maggiori debiti, vi è riduzione del risparmio pubblico. Questa riduzione ha dimensioni senza precedenti e può benissimo mettere fine al (presunto) eccesso di risparmio globale. Se ciò accadesse, le banche centrali comincerebbero a preoccuparsi e ad aumentare i tassi. È una prospettiva lontana? Può darsi, ma è un rischio reale. Anche negli anni settanta sembrava che i tassi reali rimanessero bassi per sempre; il risveglio fu amaro e il conto dell’errore di allora lo stiamo pagando ancora oggi.

LE SFIDE PER DANIELE FRANCO (E PER MARIO DRAGHI)

di Giampaolo Galli, Inpiù, 16 febbraio 2021

Daniele Franco

Due sono le sfide che stanno di fronte al ministro dell’economia e al premier. La prima è come conciliare i necessari ristori ai settori colpiti dalla pandemia con l’esigenza di iniziare un percorso di graduale discesa del rapporto debito/pil, dal picco di 160% circa raggiunto nel 2020.

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Come affronteremo il problema del debito da Covid?

L’esperienza dei due dopo-guerra non è replicabile.

di Giampaolo Galli, Il Riformista, 5 gennaio 2021

Uno dei lasciti dell’epidemia sarà un debito pubblico elevatissimo, che probabilmente a fine 2020 dovrebbe essersi attestato attorno al 160% del Pil, il valore più alto dall’Unità d’Italia. Il debito raggiunse un valore simile, 159%, dopo la prima guerra mondiale, nel 1920.

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