“Piano con il reddito di cittadinanza e non smontare la Fornero” intervista di Ernesto Auci a Giampaolo Galli su FIRSTonline – 07/03/2015

Giampaolo Galli, deputato PD ed ex direttore generale Confindustria, e’ stanco ma euforico. “Il Governo è appena riuscito a far approvare in Commissione, vincendo le opposizioni provenienti da un po’ tutti i gruppi politici, il decreto che obbliga la trasformazione delle banche popolari in SPA.”E’ una cosa enorme – dice Galli in questa intervista a FIRSTonline – sono più di vent’anni che si tenta di smontare il grumo di potere che si coagula intorno alle popolari e che con il tempo ha finito per essere un freno alla crescita del Paese. Questo Governo sta facendo cose incredibili, dimostrando di non voler affievolire la spinta riformista nonostante il miglioramento della situazione finanziaria ed i primi segnali di una ripresa economica. Si pensi alla scelta di non cedere ai desiderata del Parlamento che voleva l’esclusione dei licenziamenti collettivi dalle nuove regole sull’art. 18. Il Governo ha detto no, sia perché questa esclusione sarebbe stata contro la lettera della delega, ma soprattutto perché in caso contrario la nostra credibilità riformista verso gli osservatori internazionali sarebbe andata a ramengo. Avremmo fatto la solita figura di chi annuncia grandi riforme e poi cerca tutti i cavilli per vanificarle.”

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“Le riforme istituzionali sono fondamentali per la crescita” – estratto dall’intervento di Giampaolo Galli all’assemblea del Gruppo PD alla Camera – 7/01/2015

Ritengo che non abbia fondamento la critica secondo cui staremmo sprecando tempo e capitale politico occupandoci di riforme costituzionali ed elettorali, invece di dedicarci “all’unica cosa che interessa la gente” e cioè la crisi economica.

Innanzitutto è difficile, almeno per me, immaginare cosa di più si potesse fare contro la crisi: il bonus di 80 euro, l’azzeramento dell’Irap lavoro, l’azzeramento dei contributi per i neoassunti nel 2015, la riforma dell’articolo 18 sono i principali provvedimenti realizzati. Sono quanto di meglio gli economisti e gli stessi imprenditori potessero immaginare, almeno dati i vincoli dettati dal combinato disposto di un alto debito pubblico e delle regole europee.  A questi provvedimenti vanno aggiunte le riforme strutturali in itinere – più complesse, ma non meno importanti – su fisco, scuola, PA, giustizia.

Il secondo, fondamentale motivo che mi induce a ritenere infondata questa critica è che le istituzioni politiche sono decisive per la crescita. Ne sono consapevoli gli studiosi, le forze sociali, gli imprenditori, i mercati. C’è una sterminata letteratura economica su questo punto. Testi con titoli come “Institutions as a fundamental cause of long-run growth”, oppure: “Why nations fail?” sono ormai letture diffuse nei corsi base di economia. Le istituzioni interagiscono con la cultura e con la religione, ma non sono la stessa cosa; fortunatamente, le istituzioni sono molto meno difficili da modificare, attraverso scelte collettive consapevoli.

Fino ad oggi l’Italia è stata classificata fra le democrazie non decidenti. Una democrazia che non decide non scioglie i nodi, ossia non fissa delle regole che siano al tempo stesso uguali per tutti e capaci di adattarsi tempestivamente alle esigenze mutevoli della società.

E quando questo succede, le persone e le imprese trovano il modo di sciogliere i nodi da sé, arrangiandosi, servendosi dei propri sistemi di relazioni o favori.

Questo costituisce il tema centrale, dal punto di vista della crescita.

Se le istituzioni non decidono, il privato si arrangia e il mercato non funziona.

Questo è il terreno di coltura di favoritismi, capitalismo di relazione, lobbismo deteriore, corruzione. Da qui la svalutazione del merito, il proliferare di piccole e grandi autocrazie locali, nella burocrazia e nella politica, nell’intreccio fra queste e l’imprenditoria.

Tutto questo è il contrario di quei quattro concetti che sono al centro di qualunque analisi del buon funzionamento dei sistemi economici nonché dei Trattati dell’Unione Europea: diritti di proprietà, per definizione uguali per tutti, livellamento del campo di gioco, concorrenza e merito.

Un esempio che tutti conoscono. Dai noi spesso le amministrazioni non riescono a fare una seria pianificazione del territorio e a far funzionare un’organizzazione per il tempestivo rilascio delle autorizzazioni e per i controlli che sia coerente con quella pianificazione. Il risultato è che le persone si arrangiano con piccoli favori, con piccola e grande corruzione.

Gli italiani non sono intrinsecamente più corrotti di altri popoli.  Hanno un’amministrazione che funziona peggio che altrove. E funziona peggio perché le istituzioni politiche sembrano fatte apposta per non decidere.

Abbiamo una legge elettorale che obbliga a fare coalizioni, spesso complesse e litigiose.  I governi hanno orizzonti temporali brevissimi.  In queste condizioni, manca un centro di responsabilità, qualcuno cui l’opinione pubblica possa attribuire meriti e colpe su un orizzonte temporale che non sia quello della settimana o del mese. Con gli orizzonti brevi e la litigiosità della nostra politica non si riuscirebbe ad amministrare neanche un condominio.

Certo, sappiamo tutti che ci sono paesi, come la Germania, in cui le cose funzionano anche con leggi elettorali che sono sostanzialmente proporzionali. In Germania c’è grande stabilità – basti pensare che dal 1949 a oggi vi sono stati solo otto cancellieri, meno dei Presidenti degli Stati Uniti –  e si fanno coalizioni che non litigano. Ma con tutta evidenza le cose non vanno così da noi. Quindi dobbiamo porvi rimedio ricorrendo a un’accorta ingegneria istituzionale.

Una seconda evidente causa di inefficienza è il bicameralismo perfetto. Il problema non è tanto il tempo necessario per approvare una legge, ma soprattutto le molte coalizioni di blocco che si possono formare in ogni commissione e in aula durante l’esame dei provvedimenti, coalizioni che sono spesso diverse fra Camera e Senato. Qualcosa di simile accade anche al Congresso americano, come testimoniano, ad esempio, il blocco della riforma sanitaria di Clinton o lo shutdown degli uffici federali nell’autunno 2013. Anche lì dunque a volte le cose sono molto complesse, ma la differenza è che lì il Presidente trae legittimazione dal voto popolare e non dallo stesso Parlamento.  E’ dunque evidente che il bicameralismo perfetto, nell’ambito di un sistema parlamentare puro, è un fattore di inefficienza e scoraggia l’assunzione di decisioni.

Un ragionamento analogo si applica al tema della riforma del Titolo V.  Anche in questo caso il problema è che dobbiamo ristabilire dei precisi centri di responsabilità. Altrimenti il privato è costretto ad arrangiarsi nelle pieghe della confusione fra livelli di governo.

Una rapida approvazione del pacchetto di riforme istituzionali è dunque essenziale per sostenere l’economia.

Lo è nel lungo periodo. Ma lo è anche nell’immediato, perché i mercati scontano ad oggi gli effetti delle riforme sulla crescita futura e sulla sostenibilità del debito.  Le riforme ci aiutano dunque a immunizzarci dai formidabili rischi macroeconomici che girano per il mondo e che sembrano nuovamente generare reazioni di paura se non di vero e proprio panico nei mercati: dall’Ucraina, alla minaccia del terrorismo, al tapering della Fed, al conflitto fra i paesi del nord e la Grecia. Guardate i bollettini delle banche d’investimento internazionali: seguono con estrema attenzione a quello che noi stiamo facendo in materia  di riforme istituzionali.

Tutti noi chiediamo all’Europa di fare di più per la crescita, tramite politiche monetarie e di bilancio espansive, e di farlo rapidamente.  Lo chiediamo con grande forza nella convinzione che altrimenti è a rischio l’Euro e l’intero progetto europeo.

Condivido queste richieste e queste preoccupazioni. Ma aggiungo che ciò che possiamo fare noi nelle prossime settimane, approvando le riforme della Costituzione e della legge elettorale, non è meno importante per la crescita di ciò che possono fare Juncker e Draghi in Europa.

Testo estratto  dall’intervento di Giampaolo Galli all’assemblea del gruppo PD alla Camera – 7 gennaio 2015

“Il paradosso dello sciopero contro le riforme” intervista di Ernesto Auci a Giampaolo Galli su FIRSTonline – 11/12/2014

“Il paradosso di chi sciopera contro la legge di stabilità e il Jobs Act, e in definitiva contro le riforme del governo Renzi, è quello di provocare un’austerità più feroce dell’attuale invocando l’uscita dall’euro o la ristrutturazione del debito pubblico” – No al catastrofismo di Grillo e della Lega. Leggi tutto ““Il paradosso dello sciopero contro le riforme” intervista di Ernesto Auci a Giampaolo Galli su FIRSTonline – 11/12/2014″

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