Trasparenza dei contratti derivati stipulati dal ministero dell’economia: intervento in discussione – 3 luglio 2017

Di seguito il testo dell’intervento in Aula durante la discussione sulla trasparenza dei contratti derivati stipulati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

La richiesta di maggiore trasparenza nell’utilizzo e negli effetti degli strumenti derivati sulla finanza pubblica ritengo debba essere accolta, anche se non nella misura e nei modi in cui è formulata nella mozione del M5S.

Alcuni dei modi in cui tale trasparenza può essere realizzata sono stati discussi nel corso delle audizioni 2015 presso la Commissione Finanze della Camera.

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Soprattutto, come è detto nella mozione depositata dal mio gruppo, credo che sia necessario avere uno schema chiaro che consenta di capire gli effetti della gestione dei derivati sul debito pubblico.  Oggi c’è parecchia confusione e accade che anche persone esperte facciano errori grossolani.

Dico subito che non penso sia ragionevole chiedere che vengano resi noti I singoli contratti.

Nessun paese al mondo fa questo.

E ci sono validi motivi. Innanzitutto, rendendo noti i contratti si dà un vantaggio informativo alle banche che sono potenzialmente interessate a trattare con il Tesoro. Se la banca A sa quale contratto ha fatto la banca B concorrente, sarà in grado di negoziare con più forza con il Tesoro. Il secondo motivo è che la conoscenza di determinate condizioni contrattuale a cominciare ad es. dalle date di scadenza di certe operazioni può aiutare il mercato a fare operazioni speculative a danno del Tesoro italiano e dunque di tutti noi.

Questi sono gli stessi motivi per i quali le Banche Centrali, che fanno operazioni per ammontari enormemente più grandi, non rendono noti i contratti, nemmeno nei paesi, come Usa e Regno Unito, che sono fra i più esigenti in termini di trasparenza e accountability.

Ripeto che tale pubblicità può dare un vantaggio agli operatori privati e in particolare a chi intende attuare operazioni speculative.

Trovo strano che un partito politico che si caratterizza per la scarsa simpatia dichiarata verso gli operatori finanziari, voglia fare questo grande favore alle grandi banche di investimento a scapito del tesoro, ossia dei contribuenti.

Voglio anche dire che il contesto in cui si colloca la richiesta, in sé – ripeto – giustificata, di maggiore trasparenza è un contesto in cui si tende a mettere sul banco degli imputati gli strumenti derivati e soprattutto le persone che hanno o hanno avuto la responsabilità della loro gestione presso il tesoro.  Questo puntare il dito o additare al pubblico ludibrio le persone che hanno gestito il debito pubblico in questi anni, a mio avviso, non è giustificato.

E allora è bene ripetere alcuni concetti che sono stati peraltro bene illustrati nel corso delle audizioni in Commissione Finanze. Gli strumenti derivati servono principalmente per modificare la durata finanziaria del debito pubblico e di farlo più rapidamente e a costi inferiori rispetto all’alternativa che consiste nel modificare la composizione dei titoli di debito fra breve e lungo termine. L’obiettivo fondamentale perseguito da molti anni a questa parte è stato quello di allungare la durata finanziaria del debito e questo obiettivo è stato conseguito principalmente attraverso contratti di swap in cui il tesoro incassa a breve e paga a lungo. Questi swap hanno l’effetto di una polizza di assicurazione per evitare che un aumento dei tassi di interesse gravi sull’onere del debito e dunque sul disavanzo.

Questi contratti sono importanti perché il rischio per il Tesoro è asimmetrico. Se i tassi aumentano, come già adesso sta iniziando ad accadere per effetto della prevedibile fine del QE, l’Italia con il terzo debito pubblico al mondo rischia una crisi. Quindi è giusto vedere un aumento dei tassi come un rischio grave, un rischio da cui mettersi al riparo. Se i tassi diminuiscono, come è successo negli ultimi anni, non succede nulla di grave. La copertura assicurativa la si paga se e quando i tassi sono bassi ed è questo il motivo principale per cui il valore di mercato dei nostri derivati è negativo (per 36,4 miliardi a fine 2016 secondo i dati resi noti pochi giorni fa dalla Corte dei Conti).

È importante osservare che la immunizzazione del portafoglio rispetto ad aumenti dei tassi avrebbe potuto essere realizzata senza i derivati, non emettendo titoli a breve ed emettendo solo titoli a lungo termine. O addirittura con swap fra titoli, ricomprando i titoli a lunga in prossimità della scadenza in cambio di titoli con vita residua più lunga in modo da non consentire mai un accorciamento della durata finanziaria. Ma in questo modo i costi per il Tesoro sarebbero stati più alti perché si sarebbe rinunciato a soddisfare una domanda di titoli a breve (BOT) o indicizzati (CCT) che nel mercato esiste. Se si fosse fatto questo, ossia si fosse smesso di soddisfare la domanda di titoli a breve, oggi avremmo un debito più costoso e non avremo avuto quasi nessun beneficio dal QE, ma nessuno indagherebbe sui derivati, perché non ci sarebbero i derivati.

In alcune circostanze il Tesoro è costretto ad accorciare le scadenze. Ciò accade ad esempio in situazioni di tensione sui mercati o di crisi finanziaria. In queste circostanze, il finanziamento con titoli a lungo termine può diventare molto costoso. Quando si accorciano le scadenze ci si espone naturalmente a maggiori rischi di mercato. Si sfrutta però il fatto che l’emissione a breve è meno costosa di quella a lungo. Questa stessa politica può essere fatta usando i derivati. Ma anche in questo caso se si usano i derivati si accende l’attenzione dell’opinione pubblica. Se invece si emette a breve non succede quasi nulla.

Naturalmente, se l’operazione viene fatta per brevi periodi di tempo, ad es. a cavallo della fine di un esercizio, si configura una pratica scorretta che le nuove regole Eurostat (SEC 2010) hanno reso assolutamente trasparente e dunque non convenienti. Ma un accorciamento delle scadenze – ripeto – è fisiologico in momenti di tensione sui mercati.

Vi sono alcuni paesi che usano i derivati privilegiando benefici di breve periodo che premiano particolarmente in un contesto di tassi in discesa. Nei giorni scorsi abbiamo visto magnificare il caso dell’Olanda che ha costruito degli swap in cui paga il variabile e riceve il fisso. Questo è un un approccio di maggiore propensione al rischio che in qualche modo scommette sul ribasso dei tassi di interesse. Gli Olandesi hanno fatto bene a farlo perché se lo possono permettere e il mercato è girato a loro favore. I tassi sono effettivamente scesi ai minimi storici. Ma dobbiamo dire chiaramente che l’Olanda è un paese con la Tripla A, con un debito al 62% per cento, meno della metà del nostro. Si può dunque permettere di fare questo tipo di scommesse. Noi siamo costretti a mantenere sempre o quasi sempre il nostro portafoglio immunizzato rispetto al rischio potenzialmente esiziale, che è quello di un rialzo dei tassi di interesse.

Io credo che dobbiamo essere grati a chi ha fatto queste operazioni. Dobbiamo avere paura dei funzionari che non firmano nulla e non si assumono nessuna responsabilità. Non dobbiamo avere paura o, peggio, criminalizzare i funzionari che firmano e si assumono delle responsabilità. Ovviamente non mi riferisco ad indagini della magistratura contabile di cui non possiamo che attendere l’esito. Mi riferisco a ciò che è stato detto e scritto sui media e anche nelle aule di questo parlamento.

C’è un procedimento giudiziario in corso sulla questione della chiusura anticipata di alcuni contratti di MS (cui fa riferimento la mozione del M5S).

Al momento c’è solo un avviso alle parti affinché presentino le loro controdeduzioni, avviso che tra l’altro non avrebbe mai dovuto arrivare a media.

Siamo dunque ancora a monte della decisione se procedere oppure archiviare. E quand’anche ci fosse una decisione di non archiviare, non sarebbe giustificata una richiesta di dimissione. Sono stupefatto che invece qualcuno abbia già espresso una sentenza di condanna sui giornali e chieda delle dimissioni. Non siamo al rinvio a giudizio e a maggior ragione non c’è una sentenza neanche di primo grado. Tutti gli attori della vicenda sono innocenti fino a prova contraria. Altrimenti facciamo il solito garantismo a corrente alterna.

Aggiungo che la sanzione che è stata chiesta a dirigenti e funzionari piuttosto noti per la loro onestà e diligenza dimostra quanto sia rischioso il mestiere che fanno o che hanno fatto.

Dopo una richiesta di danni per 1 miliardo di euro, richiesta che – ripeto-mai avrebbe dovuto arrivare sui giornali, vorrei sapere chi mai avrà voglia di andare a fare il mestiere di gestore del nostro debito pubblico. Eppure qualcuno lo deve fare e dato che ora sappiamo quali rischi si corrono assumendosi delle responsabilità, dobbiamo essere doppiamente grati a chi lo ha fatto fino adesso. Perché in generale ha fatto le cose giuste e le ha fatte assumendosi rischi davvero enormi.

Quando il polverone mediatico si sarà posato, al di là dei risultati dell’indagine, sono sicuro che molti dovranno chiedere scusa. Non dimentichiamo ciò che è successo a Ilaria Capua, condannata dalla stampa e da alcuni partiti prima ancora del processo.

Senza entrare nel merito delle indagini in corso, vorrei anche aggiungere che clausole di early termination, che sono state esercitate anche nel 2016, non sono una stranezza o, peggio, un favore fatto alle banche. Tali clausole possono esserci o non esserci. Ma se ci sono, hanno una giustificazione nel fatto che una banca ha l’obbligo morale e regolamentare di diversificare i rischi. E i contratti derivati rappresentano un’esposizione verso un dato paese che non può essere prefissata in anticipo perché varia al variare delle condizioni di mercato.  Ad es. se i tassi scendono il valore di mercato (MTM) del Tesoro diventa negativo il che significa che il MTM della banca controparte diventa positivo. Questo MTM positivo, che cresce man mano che i tassi si riducono, è un’esposizione verso il rischio paese.

Questa clausola come noto è stata esercitata a fine 2011 quando l’Italia era in una crisi gravissima e non solo i mercati ma con tutta evidenza anche le autorità degli altri paesi dubitavano dell’Italia e chiedevano alla loro banche di limitare l’esposizione verso di noi.

Dobbiamo chiederci perché siamo arrivati a quel punto nel 2011 e come si può evitare di tornarci. Dobbiamo chiederci perché le autorità USA abbiano chiesto a MS di ridurre l’esposizione verso l’Italia.

E invece ci accaniamo, mi riferisco agli aspetti mediatici, contro chi svolto il compito ingrato di gestire un debito pubblico che era sull’orlo del default.

Torno ora al tema della trasparenza. Per dire due cose essenziali.

Primo, il problema si pone nel mondo non solo in Italia, anche a seguito di recenti cambiamenti nelle pratiche internazionali relative alla contabilizzazione dei derivati. In Europa i cambiamenti son intervenuti a partire dal 2014 con l’entrata in vigore del Sistema Europeo dei Conti o SEC 2010.  Questi cambiamenti sono avvenuti dopo discussioni durate anni, con il paradosso che vi era la cosiddetta “swap exclusion” ossia l’esclusione degli swap dal debito della contabilità nazionale, ma non di quello da notificare a Eurostat ai fini della procedura dei deficit eccessivi.(EDP) .

Questa ed altre discrasie sono state superate, ma ciò ha richiesto un trattamento molto complesso dei derivati sulla cui utilità e comprensibilità vi è vivace dibattito tuttora in corso a livello internazionale. E qui vengo al secondo punto.

Attualmente, i derivati stanno in diverse voci dei conti pubblici. Non sono raggruppati in un’unica voce. Naturalmente sappiamo il valore di mercato dei derivati e sappiamo che questo negli ultimi anni è rimasto stabile su valori negativi abbastanza elevati per i motivi che ho richiamato prima.  Secondo l’ultima rilevazione della Corte dei Conti, eravamo a 37,5 mld a fine 2016, poco più che nel 2015 (36,7) e meno del 2014 quando eravamo a 42,1 mld.

Ma non è il MTM che entra nel calcolo del debito rilevante ai fini di Maastricht, perché il debito è tutto al valore facciale e sarebbe incoerente avere i derivati a valore di mercato.

E ogni derivato ha una complessità di calcolo e di contabilizzazione.

Nel manuale del sec 2010 pubblicato per la prima volta nel 2014 si spiega che uno swap off the market (quale può verificarsi a seguito di esercizio di una swaption) movimenta ben quattro voci della contabilità pubblica, ognuna delle quali ha una sua spiegazione.

  1. Vi è innanzitutto una componente di prestito che in quanto tale alimenta il direttamente il debito.
  2. Vi è poi l’ammortamento del debito che va a riduzione nel tempo del debito iniziale.
  3. Vi sono poi gli interessi sulla componente di prestito, che entrano nella spesa per interessi e dunque nell’indebitamento netto della PA.
  4. Vi è infine il flusso di interessi sulla componete su swap alla pari che non entrano nella spesa per interessi, ma fanno parte assieme alle voci 1 e 2 del raccordo fra indebitamento e debito.

Due di queste quattro voci (la 1 e la 4) sono esplicitate nel documento attraverso il quale ad aprile di ogni anno l’Istat notifica all’Eurostat  i dati rilevanti per la procedura dei deficit eccessivi.

Questa contabilizzazione è il meglio che si è riusciti a fare per evitare buchi nelle contabilità e per scoraggiare operazioni opportunistiche da parte dei paesi.

Credo sia giusto chiedere che questa complessità sia riducibile ad un unico numero che risponda ad una domanda che può essere formulata così: in assenza di quel derivato, come sarebbe variato il debito? Oppure, volta in positivo, posta una condizione coeteris paribus, come quel derivato ha contribuito a variare il debito pubblico? Assumendo dunque che null’altro cambi riguardo ad esempio alla composizione del debito.

Al momento una risposta chiara ed univoca mi pare non ci sia. E nelle audizioni che si sono tenute in Commissione Finanze sono state portati diverse fonti di dati (Istat, MEF, Banca d’Italia, Eurostat) che non sempre si raccordano agevolmente fra di loro.

Questo dà luogo ad equivoci del tutto comprensibili.

Ad esempio, vi è chi dice che le perdite su derivati hanno interamente compensato i vantaggi del QE in termini di riduzione degli interessi. Dal 2013, cumulando la riduzione della spesa per interessi, si ottiene la cifra di 24 mld. Questa stessa cifra (24 mld) è la somma per il quadriennio 2013-2016 delle due voci della notifica Istat a Eurostat di aprile 2017 che citano esplicitamente i derivati. Le altre due voci sono (interessi sulla componente di prestito e soprattutto ammortamenti dei vecchi prestiti) non compaiono esplicitamente perché sono mischiate con altre voci.

Infine va notato che alcune voci hanno un effetto sulla cassa, altre hanno un effetto importante ma solo contabile. Così con riferimento al 2016, il saldo di 4,2 mld fra pagamenti e incassi sugli swap è cassa. Come lo è il miliardo corrisposto ad una banca che ha esercitato una clausola di early termination. Ma i 3,2 miliardi di debito emerso a causa dell’esercizio di swaption (in condizioni ovviamente out of the money per il Tesoro) sono debito solo dal punto di vista contabile.

Concludo dicendo che molto è già stato fatto a seguito delle richieste di trasparenza espresse negli anni scorsi. In particolare c’è un capitolo dedicato alla gestione dei derivati nel rapporto annuale sul debito pubblico. Ci sono informazioni nel DEF. E ci sono le informazioni che abbiamo nel rapporto annuale della Corte dei Conti che dedica uno specifico capitolo ai derivati.  Si può fare di più. In questo senso si è anche espresso il Direttore Generale del Tesoro nella sua audizione di fronte alla Commissione Finanze.

In questo mio intervento, ho provato a dire quali sono alcuni dei problemi.

Aggiungo solo che l’Italia non è diversa dagli altri paesi, o meglio dai migliori paesi in termini di trasparenza. I problemi concettuali che si pongono in Italia, si pongono anche in altri paesi. E dovremmo cercare di risolverli insieme agli altri.

Ma tutto ciò deve andare di pari passo con un atteggiamento diverso nei confronti di questi strumenti e delle persone che le gestiscono.

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