Se le verità nei prospetti accelerano i fallimenti – con Lorenzo Codogno, il Sole 24 Ore, 15 novembre 2017

Mentre i riflettori della commissione d’inchiesta si accendono sul caso Monte Paschi, proviamo a chiederci cosa abbiamo davvero imparato dal caso delle banche Venete. Secondo alcuni sarebbe tutto semplice e chiaro: la Banca d’Italia non avrebbe fornito informazioni essenziali alla Consob il che avrebbe impedito di informare gli ignari risparmiatori del triste destino che li attendeva. Si tratta, a nostro avviso, di una conclusione affrettata.

Per capirlo basta guardare il principale oggetto del contendere fra Consob e Banca d’Italia, ossia il prospetto per l’aumento di capitale di Veneto Banca nel 2014. In quel prospetto sono riportate, anche se forse con qualche cautela di troppo, le gravi preoccupazioni che la Banca d’Italia aveva comunicato a Consob. In particolare, sono riportate tutte le richieste, assai radicali, che la Banca d’Italia aveva fatto a Veneto Banca, a partire dall’integrazione con un’altra banca, al “rinnovo integrale degli organi sociali” fino alla richiesta di “riconsiderare il valore delle azioni” alla luce dell’effettivo andamento dei risultati gestionali e dei prezzi delle banche quotate. In pratica, la banca doveva integrarsi con un’altra più efficiente e il management doveva andarsene, anche in considerazione dei gravi conflitti di interesse che erano emersi.  Difficile immaginare un giudizio più duro. Cosa è andato storto dunque? La risposta più ragionevole è che, dopo l’aumento di capitale, Veneto Banca non fece le cose che si era impegnata a fare. Sarebbe cambiato qualcosa se nel prospetto si fosse detto che la Banca d’Italia aveva contestato non solo il prezzo delle azioni, ma anche la procedura attraverso la quale quel prezzo veniva determinato? Francamente non ci sembra dal momento che è ovvio che per ottenere un prezzo delle azioni incoerente con la redditività aziendale, è sufficiente una procedura non formalizzata oppure ipotesi ottimistiche o poco realistiche.

L’altra cosa che è andata storta è che nei prospetti di centinaia di pagine deve essere chiarissima la sintesi iniziale perché l’intero documento non viene letto dai risparmiatori.

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E qui veniamo al punto centrale della faccenda, un punto che richiede grande equilibrio e davvero mal si presta a processi sommari o speculazioni politiche. Se si vuole, come è giusto, che i risparmiatori siano pienamente informati, si deve sapere che il modo in cui viene redatto il prospetto può essere tale da determinare il fallimento di una emissione e quindi la messa in liquidazione di una banca, specie nei casi, come quelli delle banche venete, in cui gli aumenti di capitale sono essenziali per soddisfare i requisiti minimi imposti dalla normativa europea.

Probabilmente la sorte di Veneto Banca e di Popolare di Vicenza non erano già segnate nel 2014. Tuttavia prendiamo atto che proprio questo sembra essere il verdetto popolare: la Consob avrebbe dovuto spiegare le cose in modo da indurre i risparmiatori a non acquistare le azioni e le obbligazioni subordinate che venivano offerte. È peraltro probabile che, anche ad esito dei lavori della commissione d’inchiesta, la Consob utilizzerà con durezza i poteri di cui sarà dotata dall’anno prossimo per vietare emissioni considerate troppo rischiose.

Ci chiediamo se i politici che in questi giorni, in una rincorsa che ha il sapore amaro del populismo, stanno invocando il pugno di ferro a tutela dei risparmiatori siano disposti ad accettare la conseguenza che le banche falliscano tempestivamente e comunque molto prima di quanto avvenga attualmente.

A scanso di equivoci, noi lo riteniamo giusto anche perché per tenere in vita una banca decotta si rischia di coinvolgere nel crack un numero molto maggiore di risparmiatori, compresi quelli che verrebbero chiamati a sottoscrivere i successivi aumenti di capitale, e si rischia di distruggere valore per l’intera economia.

In questi giorni, la protesta popolare sta focalizzandosi sui risparmiatori che negli ultimi anni sono stati attratti nella rete delle banche che sono poi fallite. Ma è facile prevedere le proteste, assai più veementi, che si leveranno il giorno in cui le autorità determineranno un fallimento tempestivo di una banca inefficiente.

È probabilmente vero che fino ad oggi la Consob è stata molto prudente e in vari casi non ha fatto abbastanza per evitare collocamenti quantomeno discutibili. Ma sarebbe riduttivo addossare la responsabilità a singole persone: la responsabilità di fondo è della politica che fino ad ora ha sempre scelto di tenere in vita banche (e imprese) decotte. Diciamo la verità: se nel 2014 la Consob avesse fatto il prospetto che tutti sembrano oggi auspicare, le due banche venete sarebbero fallite e i presidenti delle due authority, Visco e Vegas, sarebbero stati portati in ceppi di fronte a una commissione parlamentare, oltre che di fronte al giudice penale.

Un cambiamento sarebbe salutare, ma richiede che si vada ben oltre i giudizi davvero sbrigativi che hanno prevalso in questi giorni.

Lorenzo Codogno

Giampaolo Galli

Il Sole 24Ore – 15 novembre 2017

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