I prezzi aumentano, ma le banche centrali, per nostra fortuna, non se ne preoccupano

di Giampaolo Galli, Inpiù, 23 giugno 2021

La spinta delle materie prime bilanciata dalla moderazione salariale


Che i prezzi siano in aumento non c’è dubbio. La questione è se le banche centrali reagiranno con politiche meno espansive, il che per i paesi ad alto debito come il nostro potrebbe essere un problema. Nei primi 5 mesi dell’anno, gli aumenti dell’indice generale dei prezzi al consumo (annualizzati) sono stati del 5,3% nell’Eurozona e addirittura del 7,9% in Germania; in Italia siamo solo al +3.5%. In Usa l’aumento (sempre nei 5 mesi annualizzati) è stato del 10,2%. Questi dati riflettono principalmente il rimbalzo delle materie prime rispetto ai valori molto bassi dell’anno scorso. Secondo l’indice della Banca Mondiale, negli ultimi 12 mesi l’indice energy è aumentato del 119%, il non energy del 51. Il prezzo del Brent è passato da 31 dollari nel maggio 2020 a 68 nel maggio di quest’anno; ma se si fa il confronto col maggio 2019, il prezzo è leggermente sceso. Lo stesso vale per molte altre materie prime, ma non per tutte: rispetto a due anni fa, i cereali sono aumentati del 45%, gli olii alimentari dell’80%, i fertilizzanti del 25%, i metalli del 60%.

Ogni volta che esce un nuovo dato sui prezzi, i tassi a lunga salgono un po’, specie in Usa, e le borse traballano. Intervengono subito i banchieri centrali, su entrambe le sponde dell’Atlantico, i quali, quando non fanno gaffes, gettano acqua sul fuoco. Nelle ultime riunioni dei rispettivi organi direttivi, la Fed e la Bce hanno confermato che continueranno a mantenere un orientamento fortemente espansivo della politica monetaria, strumenti non convenzionali inclusi; la Bce ha anzi annunciato che nei prossimi mesi aumenterà ulteriormente gli acquisti mensili di titoli rispetto ai primi mesi dell’anno. Philippe Lane, il capo economista della Bce, ritiene che non si metterà in moto una spirale prezzi salari perché l’occupazione è ancora molto bassa e gli aumenti salariali moderati; l’aumento dei prezzi dovrebbe dunque avere carattere temporaneo. Persino la Bundesbank non sembra particolare preoccupata. Nel suo ultimo bollettino mensile, fa notare che gli aumenti salariali in Germania sono molto moderati. Segnala il rischio che a fine anno l’inflazione ‘headline’ (ossia tutto compreso) possa toccare il 4% (il dato che ha fatto notizia nei mercati), ma si affretta subito dopo a sottolineare che l’indice “core” (ossia al netto dell’energia, degli alimentari e anche dell’aumento dell’Iva) non dovrebbe superare l’1%. Per ora, non sembra ci sia motivo di preoccuparsi.

Annuncio

Annuncio