Contratti aziendali: che sia la volta buona? di Giampaolo Galli, Inpiù 18/09/2020

Un’innovazione concordata già nel 2011 che stenta a diventare realtà

 

Contratti aziendali: che sia la volta buona?

Confindustria e siandacati hanno ricominiciato a discutere di contratti. Stando alle dichiarazioni, la Confindustria di Bonomi è determinata a rafforzare il ruolo della contrattazione aziendale, come peraltro è previsto dal “Patto della Fabbrica” del 9 marzo 2018. Confindustria fa bene, dal momento che questo è l’unico modo per migliorare la produttività e le buste paga. La domanda è perché ciò non si sia realizzato fino ad oggi malgrado che su questo punto vi sia, almeno a parole, il consenso di tutti da gran tempo. L’accordo interconfederale del 28 giugno 2011, il primo firmato anche dalla Cgil al termine di una poco fruttuosa stagione di accordi separati, era già assolutamente chiaro e anzi, semmai, bisogna rilevare che il “Patto della Fabbrica” fa un passo indietro perché, a differenza dell’accordo del 2011, non prevede che i contratti aziendali possano derogare ai contratti nazionali. Ce la si potrebbe prendere con gli interessi costituiti delle burocrazie sindacali e confindustriali, ma non si coglierebbe che un aspetto del problema.

L’altro aspetto è dato dal fatto che le piccole aziende non vogliono i contratti di secondo livello perché non vogliono avere il sindacato in azienda. E c’è anche un’altra verità. Molte grandi aziende, che pure già stipulano contatti aziendali, preferiscono delegare quanto più possibile la definizione delle condizioni economiche alle burocrazie confindustriali perché questo significa avere meno guai in azienda. Viene da chiedersi come si faccia a governare un’azienda se si rinuncia a coinvolgere i lavoratori, rendendo esplicito il nesso fra risultati aziendali e condizioni di lavoro. Questa rinuncia può far comodo agli uffici del personale, che spesso su questa materia hanno l’ultima parola, ma non è certo nell’interesse delle aziende e dei loro azionisti.

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