Se per i politici la micro impresa è ancora bella, di Giampaolo Galli, InPiù, 27 novembre 2018

Forse dobbiamo accontentarci che la Lega abbia accettato, almeno per ora, di rinunciare al progetto originale di una flat da 50 miliardi, una follia dal punto di vista finanziario e anche dell’equità sociale, e abbia ripiegato su una mini flat tax per partite Iva e lavoratori autonomi che non dovrebbe costare più di 2 miliardi allo Stato. Eppure ci sono tante cose che non vanno nel nuovo sistema che – ricordiamolo – introduce regimi di grande favore per due categorie di contribuenti: chi ha vendite sotto i 65.000 euro e chi sta fra 65.000 e 100.000 euro.  Il primo problema, ovvio, riguarda l’effetto “scalino” che si verrà a determinare in corrispondenza delle due soglie di euro 65.000 e 100.000. Evidente l’incentivo a occultare fatturato per stare al di sotto di una soglia; evidente anche la disparità di trattamento fra chi sta poco sotto o poco sopra una delle due soglie.

Il secondo problema è che queste misure favoriscono l’utilizzo delle false partite Iva, in luogo dei contratti di lavoro dipendente. È giusto mettere a disposizione di imprese e lavoratori diverse forme contrattuali, comprese quelle più flessibili. Ma in linea di principio la flessibilità dovrebbe avere una maggiorazione di costo per l’impresa che la utilizza. Quindi semmai andrebbero ridotti i costi dei contratti di lavoro dipendente e a tempo indeterminato, come è stato fatto negli ultimi anni.

Il terzo problema è che questa misura guarda solo alle microimprese; per tutte le altre imprese, piccole, medie e grandi, ci sono quasi solo svantaggi – abolizione di superammortamento e Ace, non compensati dalla mini Ires, e ridimensionamento di iperammortamento e credito d’imposta per la ricerca. Insomma, per il nostro governo piccolo è ancora bello, una teoria che pensavamo superata da trent’anni, ma che ha ancora un grande punto di forza: piace ai politici perché è quella che porta il maggior numero di voti.

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