DOMANDE SUL GREEN DEAL DELLA COMMISSIONE UE, di Giampaolo Galli, Iinpiù, 17 gennaio 2020

I documenti della Commissione Europea sono assolutamente drastici. Entro il 2050 l’Unione dovrà raggiungere l’obiettivo di emissioni zero di gas serra e, a questo fine, entro l’estate prossima,la Commissione proporrà di rendere molto più stringenti gli obiettivi già fissati per il 2030. Per finanziare la transizione la Commissione propone un piano di investimenti da oltre 1.000 miliardi di euro nei prossimi 10 anni e un meccanismo per compensare i paesi a più alta intensità di carbonio (Just TransitionMechanism) per un ammontare di 143 miliardi di euro. Questi investimenti, assieme alla rivoluzione digitale, saranno il motore di una crescita sostenibile e, addirittura, “scollegata dall’utilizzo delle risorse naturali”. Ma da dove vengono tutti questi soldi e saranno essi davvero in grado di consentire di raggiungere i due obiettivi che ci si propongono e cioè abbattere le emissioni di gas serra e dare impulso alla crescita economica? Per rispondere a queste domande, va detto innanzitutto che questi soldi non vengono da un aumento del bilancio dell’Unione, che rimarrà attorno all’1 del Pil europeo, né dall’emissione di debito europeo. Né è prevista una riduzione della spesa corrente dell’Unione o degli Stati membri per far spazio ai nuovi investimenti. Anche le riserve messe a bilancio a fronte delle garanzie per il programma investEU (la nuova versione del piano Juncker) rimangono quelle che erano state proposte dalla precedente Commissione (15,2 miliardi nel settennio 2021-2027). Ne consegue che i grandi investimenti che si propongono non saranno aggiuntivi, ma sostituiranno altre tipologie di investimenti. La questione diventa dunque se i nuovi investimenti saranno più produttivi di quelli che si sarebbero fatti altrimenti. La risposta non è ovvia ed è facile pensare a controesempi: se invece di finanziare una linea ferroviaria ad alta velocità, si finanziassero gli acquisti di pannelli solari – in buona parte made in China – l’effetto sulla crescita europea sarebbe certamente negativo. Per rispondere all’altra domanda (si riuscirà a realizzare la transizione ambientale) occorre attendere che le dichiarazioni di intenti si trasformino in decisioni.

Per ora sappiamo che la Commissione non intende modificare nessuno dei grandi capitoli del bilancio comunitario. Semplicemente – e molto prudentemente –propone di riorientare l’utilizzo dei fondi esistenti: così, ad esempio, propone di orientare a questo obiettivo il 40% dei fondi della PAC, il 30% dei fondi per la Coesione e per lo Sviluppo Regionale, il 60% dei fondi per le infrastrutture (ConnectingEurope), il 30% del programma investUE ecc.  Nessuno sa per ora che cosa questo significhi concretamente: ad esempio, gli aiuti della PAC agli agricoltori verranno condizionati all’abolizione dei sussidi per l’acquisto di carburante che sono classificati come dannosi per l’ambiente? Prima o poi, decisioni di questo tipo dovranno essere prese. E solo allora capiremo se si fa sul serio o si fa del maquillage. E, se si farà sul serio, cominceremo a vedere le proteste degli interessi colpiti e forse tanti gilets jaunes in giro per l’Europa. Dovremo allora porci la domanda di fondo: se le nostre società, democratiche e mediamente benestanti, sono in grado di accettare un processo di trasformazione tanto radicale.

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