IL CATASTROFISMO DEGLI ECONOMISTI E IL DOVERE DI RAPPRESENTARE LA REALTÀ

di Giampaolo Galli, Inpiù, 28 settembre 2022

Negli ultimi 25 anni l’Italia ha smesso di crescere e non è stata all’altezza della sfida

Con il suo consueto affilatissimo garbo, Innocenzo Cipolletta ha argomentato su Inpiù che il catastrofismo degli economisti fa vincere le opposizioni. Può darsi che abbia ragione. Ma ormai i giochi sono fatti ed è bene che gli economisti spieghino chiaramente a chi governa qual è la realtà. La realtà deve essere esposta con intelligenza, senza creare allarmi ingiustificati, ma anche senza nascondere i pericoli. Come fanno ad esempio gli scienziati del clima che, giustamente, dicono in modo chiaro che c’è un pericolo per il pianeta. Nel libro che abbiamo appena pubblicato (in inglese con Oxford University Press e in italiano con il Mulino. Titolo: “Meritocrazia e Crescita”), Lorenzo Codogno ed io ci proponiamo di allertare gli italiani e di dire che in molti ambiti occorrono cambi di passo sostanziali rispetto ad oggi. Gli argomenti sono essenzialmente gli stessi che ha usato Mario Draghi per giustificare l’impianto riformatore del Pnrr. Noi siamo più espliciti e diciamo chiaramente che nell’ultimo quarto di secolo l’Italia ha quasi smesso di crescere. Nessun altro paese avanzato ha fatto peggio dell’Italia. Fra il 1995 e il 2019 il divario cumulato nella crescita del Pil è stato di 32,1 punti percentuali rispetto alla Francia, 23,7 rispetto alla Germania, 29,5 rispetto alla media dell’Eurozona, 64,5 rispetto agli Stati Uniti. La crescita è ferma ovunque nel paese, nel Sud e anche nel Nord tradizionalmente più dinamico. Nella classifica del Pil pro capite delle 280 regioni europee, Piemonte, Lombardia e Veneto vent’anni fa erano vicine ai primi posti: nel 2019 avevano erano scese all’84°, 36° e 68° posto rispettivamente, al di sotto di quasi tutte le principali regioni dell’Europa Occidentale. Il calo è stato simile per le regioni del Sud e oggi Campania, Sicilia e Calabria stanno al 191°, 197°, 202° rispettivamente; tutte sotto la maggior parte delle regioni dell’Europa dell’Est.
 
I punti di forza ci sono. Uno di questi è (o è stato) l’avanzo primario, ma senza crescita non basta a ridurre il rapporto debito/Pil. Le imprese manifatturiere che esportano sono un altro punto di forza, ma non bastano a trainare un paese di 60 milioni di abitanti. E se si guarda agli indicatori di imprenditorialità e innovazione si scopre una verità che fa male, ma che va detta: davanti a noi, ci sono quasi tutti gli altri paesi avanzati. Nel Regno Unito ogni anno nascono il doppio delle imprese che nascono in Italia. L’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale conta circa 500 domande di brevetti per milione di abitanti ogni anno per l’Italia e più di 5.000 per la Svizzera. Negli anni ’70 e ’80 l’Italia è cresciuta con le due droghe delle svalutazioni e del debito pubblico; negli anni ’90 avrebbe dovuto diventare quella che in Europa viene chiamata “un’economia aperta basata sulla conoscenza”. Per molti motivi, non è stata all’altezza delle sfide ed è questa la realtà con cui dobbiamo fare i conti oggi.   

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