Guida ragionata alla nuova bozza.
di Giampaolo Galli, Il Riformista, 26 gennaio 2021.
Qui il link a “Il Riformista”.
La bozza del Recovery Plan approvata il 12 gennaio dal Consiglio dei ministri presenta alcuni miglioramenti, ma anche dei passi indietro. Nelle prima bozza la riforma della PA si riduceva quasi solo alla digitalizzazione e a nuove assunzioni, mentre ora si dice esplicitamente che occorre introdurre un “nuovo sistema di misurazione e valutazione delle performance – anche attraverso il potenziamento della citizen satisfaction…”.
Qualche passo avanti c’è anche sulla giustizia quando si dice che su richiesta della Commissione Europea si è preso atto che i disegni di legge già presentati in Parlamento dal governo non sono sufficienti. Su entrambi le questioni però, in attesa di maggiori dettagli, si ha l’impressione che si sia ancora abbastanza lontani da un ragionevole traguardo.
Un cambiamento importante compare in modo esplicito quando si dice che «la presente bozza di Pnrr, rispetto alle versioni preliminari, ha puntato a massimizzare le risorse destinate agli investimenti pubblici, la cui quota ora supera il 70% con conseguente riduzione della quota di incentivi al 21%». La motivazione è che «gli investimenti pubblici, rispetto alle misure di incentivazione degli investimenti privati, generano un effetto moltiplicativo sulla produzione e l’occupazione assai più favorevole, superiore a due negli scenari migliori». Questa motivazione è poco convincente se si tiene conto che gli incentivi, quali quelli per l’efficienza energetica degli edifici e per industria 4.0, hanno un effetto quasi immediato, mentre gli investimenti pubblici richiedono anni, se non decenni, per essere progettati, approvati e infine realizzati. Questo cambiamento rischia di rendere ancora più difficile il rispetto delle scadenza fissate dall’Unione Europea: impegni entro il 2023 e erogazioni entro il 2026.
Ma è sull’impostazione generale del piano che si registrano i cambiamenti maggiori e non sono positivi. Nella nuova bozza perde importanza la questione del ritorno alla crescita dopo un quarto di secolo di stagnazione; diventano invece centrali le questioni delle disuguaglianze: di genere, di età e territoriali. Nella prima bozza si leggevano frasi come questa da cui risultava chiaro il confronto con le altre economie avanzate: «L’Italia da oltre 20 anni fatica a tenere il passo delle altre economie avanzate. Il nostro Paese da tempo sconta tassi di crescita del prodotto e della produttività significativamente inferiori a quelli delle altre maggiori economie avanzate…». Nella bozza attuale il confronto con le altre economie avanzate viene proposto esclusivamente in termini di disuguaglianza: «Le tre grandi faglie di disuguaglianza costituiscono la grande anomalia negativa dell’Italia rispetto alle altre economie avanzate, e contribuiscono quindi a frenare lo sviluppo del nostro paese…».
Questi cambiamenti si ripetono in tutto il documento. Nella nuova stesura, rispetto alla precedente, le parole “giovane o giovanile” sono aumentate da 29 a 100 ripetizioni; le parole “Sud o Mezzogiorno” da 44 a 142; le parole “donne o donna” da 25 a 43. Per contro è diminuita la frequenza della parola “produttività” che passa da 18 a 12 ripetizioni. È ovviamente necessario preoccuparsi delle diseguaglianze, anche se forse maggiore rilievo si dovrebbe dare alle nuove povertà provocate dalla pandemia. Ma non si può sfuggire al fatto che la vera anomalia consiste nel fatto che nell’ultimo quarto di secolo l’Italia è il paese europeo con il tasso di crescita più basso, persino inferiore a quello della Grecia, e che questa anomalia riguarda tutti i settori dell’economia ed anche i territori più avanzati. Nelle prima bozza c’era un motivo straordinariamente solido per aggregare il consenso politico che è necessario per radicali riforme della pubblica amministrazione e delle giustizia: queste sono le due zavorre che impediscono all’Italia di crescere e di produrre benessere; in quanto tali, rischiano di rendere non sostenibile il debito pubblico e il nostro sistema di welfare. Nella nuova bozza, queste due riforme- o, per meglio dire, questi due insiemi di riforme- hanno un legame molto indiretto con la questione delle diseguaglianze e sono quindi solo alcune delle tante cose che si possono fare per ridurle.
Ciò detto, forse la cosa più utile da aggiungere in questo momento è che questo piano, con il corredo dei progetti che ancora mancano, non è impresentabile e non merita una bocciatura: soprattutto, un piano imperfetto e criticabile sotto molti punti di vista è meglio di un litigio infinito su quale sia il piano ideale. Il rischio non è solo quello di mancare la scadenza di fine aprile, il che già sarebbe grave, ma di perdere la credibilità che è necessaria per convincere la Commissione e i partners europei che l’Italia ha intenzione di fare davvero le cose che dice di voler fare.