Sindacati e imprese sfidano il governo, ma anche il PD – Giampaolo Galli su l’Unità – 05/09/2013

Il  documento firmato a Genova da sindacati e Confindustria  ripete concetti detti e ridetti tante volte. Ma ripetere le cose ovvie è utile, anzi necessario, nei momenti in cui le cose ovvie sembrano dimenticate. Ed è un bene che le dicano insieme imprese e sindacati. Non era scontato che riuscissero a farlo. In momenti di grandi difficoltà può prevalere il senso di responsabilità e la consapevolezza dei destini comuni, ma possono anche prevalere le spinte corporative volte ad accaparrarsi, l’un contro l’altro, le poche risorse disponibili. E’ prevalsa la responsabilità ed è auspicabile che ciò si traduca in comportamenti conseguenti e dunque in accordi su tutte le questioni che riguardano direttamente le parti sociali: dai contratti, alla flessibilità in entrata, al problema posto da Fiat di una legge sulla rappresentanza.

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Galli: Le condizioni per la ripresa – L’Unità 25/05/2013

Il conflitto fra esigenze sociali crescenti e disponibilità di risorse pubbliche è una costante in tutti i paesi. In Italia si manifesta  con grande intensità da due decenni per via dell’alto debito pubblico ed è stato spesso all’origine di tensioni sociali e crisi di governo. Ma forse mai questo conflitto si è manifestato con tanta intensità come oggi per via della gravità della crisi e per un risultato elettorale che ha premiato i partiti che promettevano drastici tagli di tasse.

Qualcuno dice che ancora una volta stiamo andando a sbattere contro un muro ben segnalato. Stando alle dichiarazioni programmatiche, nelle prossime settimane occorrerebbe trovare le risorse quantomeno per superare l’IMU, per evitare l’aumento dell’IVA, per favorire la creazione di posti di lavoro per i giovani, per rilanciare le infrastrutture, per sostenere il credito alle PMI, per prorogare le agevolazioni per l’efficienza energetica e per le ristrutturazioni edilizie.  Si tratta di non meno di dieci miliardi in sei mesi, ossia venti miliardi in un anno. Una cifra davvero enorme, da far tremare le vene. A maggior ragione se tiene conto di come è stato reperito il miliardo di euro, solo un miliardo, per rifinanziare la cassa integrazione in deroga. Si è attinto a risorse utili per il lavoro e per il futuro, come la formazione permanente e i contratti di produttività, segno non di cattiva volontà ma del fatto che non era affatto facile fare di meglio.

La cifra del governo Letta, la sua stessa ragion sociale dipenderà da come eviterà di andare a sbattere contro il muro. Forse riuscirà tener fede all’impegno assunto nel discorso della fiducia: “la riduzione fiscale senza indebitamento sarà un obiettivo continuo e a tutto campo”. Se ciò avverrà il governo avrà una mission che potrà piacere o no, ma sarà delineata con estrema chiarezza e corrisponderà alle aspettative di gran parte dell’elettorato. Una mission molto ambiziosa che forse solo un governo straordinario con una ampia maggioranza può darsi.

Anche la ragione sociale del Partito Democratico dipenderà da come si atteggerà di fronte a questa sfida del Paese, molto più che dal dibattito interno. Potrà accettare la sfida oppure atteggiarsi a difensore della spesa pubblica. Nel secondo caso, al PDL e, in parte, al M5S si schiuderanno vaste praterie per mietere consensi fra gli scontenti delle tasse. E gli esiti delle prossime elezioni, a cominciare dalle europee, saranno scontati.

Sotto il profilo politico, il punto chiave è che non vi alcun serio motivo per credere che il centro destra sia meno interessato del centro sinistra a difendere la spesa pubblica buona. Al di là delle chiacchiere da talk show, il centrodestra, se non altro per motivi di consenso, non è meno attento al welfare di quanto lo sia il centro sinistra. E il centrodestra sa bene, quanto lo sa il centro sinistra, che gli enti locali e le regioni sono in estremo affanno. Lo dimostra l’ostracismo in cui è caduto Giulio Tremonti all’interno del centro destra, in gran parte per via dei tagli che ha imposto ai suoi colleghi di governo.

Dunque, accettiamo la sfida. Cerchiamo di imporre al PDL di smettere di fare propaganda. Richiamiamolo ad un minimo di coerenza logica. Se tuona che bisogna ridurre questa o quella tassa, contribuisca con tutti noi a trovare le coperture. Si assuma con noi la responsabilità delle decisioni difficili. Forse si giungerà alla conclusione che, dopo i tagli degli anni scorsi, rimane ancora ben poco da tagliare. Questa è l’opinione di molte rispettabilissime persone, sia nel PD che nel PDL. Ma conta poco. Ciò che conta è che, se questa è la conclusione cui si deve arrivare, ad essa ci arrivino insieme tutti i partiti della maggioranza e, se possibile, l’opinione pubblica.  Altrimenti è a rischio il PD e, ancor più, é a rischio il governo.

Sappiamo che Berlusconi ha una straordinaria capacità di fare propaganda anche quando è al governo. Quante volte ha promesso di eliminare l’Irap o di dare la famosa frustata al cavallo dell’economia, salvo poi non farne nulla e addossare la colpa agli alleati o al Ministro dell’Economia. Riuscirà il PD ad ribaltare il tavolo e ad evitare di essere, per l’ennesima volta, la vittima  della campagna elettorale permanente di Berlusconi? Riusciremo ad evitare di essere quelli che impediscono al PDL di tagliare le tasse?

L’Unità 25 maggio 2013

Galli: “Solo così si può rilanciare l’occupazione”. La Stampa – 19/01/2013

LA STAMPA

19.01.2013

“Nel Breve periodo l’unica via è far ripartire le opere pubbliche”

Galli: “Solo così si può rilanciare l’occupazione”.

Intervista a Giampaolo Galli di Stefano Lepri

La recessione si allunga, il lavoro manca. Che ha da consigliare un ex direttore generale della Confindustria che si candida nel Partito democratico?

«Nel breve periodo l’unica cosa che possiamo fare – risponde Giampaolo Galli – è rilanciare gli investimenti in opere pubbliche, anche piccole, sfruttando i margini che si possono trovare senza turbare gli equilibri della finanza pubblica. Guardando oltre, direi che la madre di tutte le riforme è quella dell’amministrazione pubblica: anche, appunto, sotto il profilo dell’efficienza economica del Paese. Dobbiamo rifare uno Stato che ha procedure di funzionamento anomale, purtroppo uniche in Europa. Questo non è soltanto un costo grave per le aziende e per tutti i cittadini. E’ un freno all’innovazione e allo sviluppo. Pensiamo a una impresa che vuole spingersi in un settore di attività diverso, oppure a una nuova impresa o a un investitore estero: hanno difficoltà enormi a districarsi fra norme e apparati burocratici che non conoscono. E’ un limite alla mobilità fra settori e alla concorrenza forse più grave di quelli su cui indaga l’Autorità Antitrust».

Da vent’anni tutti i governi ci promettono la semplificazione burocratica. Finora di effetti ne abbiamo visti pochi.

«Dal punto di vista normativo è stato fatto moltissimo, ma i risultati sono modesti. Restano le sabbie mobili di tempi di decisione troppo lunghi e responsabilità imprecise. Prendiamo degli esperti di altri Paesi, come la Gran Bretagna o la Germania, portiamoli qui e vediamo che cosa ci suggeriscono. Ad esempio: da loro come si fa quando una impresa vuole ampliare un capannone? Bisogna rivedere tutto il funzionamento delle amministrazioni, passo per passo; in alcuni casi occorreranno grandi sforzi di immaginazione per costruire soluzioni del tutto diverse da quelle attuali».

Questo programma avrebbe potuto portarla anche nella lista Monti. Come mai ha scelto il Pd?

«Trovo nel Partito democratico, oltre a un solido ancoraggio europeo che è essenziale, una elevata corrispondenza tra le cose che si dicono e le cose che si fanno, e tra le cose che si dicono e quelle che sono vere. Chi guiderà l’Italia dovrà prendere decisioni difficili, che avranno successo solo se saranno percepite come eque: occorre un partito con un forte radicamento. E poi naturalmente apprezzo che Pierluigi Bersani si proponga di governare con uno schieramento ampio, aprendo al centro».

Al sodo, la principale differenza tra Bersani e Monti riguarda il lavoro. Si può ridare competitività all’Italia senza erodere i salari?

«Quando parliamo di un costo del lavoro per unità di prodotto che è salito del 30% rispetto alla Germania da quando c’è l’euro, dobbiamo sapere che questo dato sintetizza tutte le inefficienze del sistema-Paese, comprese quelle del settore pubblico. La componente della produttività che dipende dall’organizzazione del lavoro può essere affrontata solo a livello aziendale, come è stato fatto in Germania negli anni Duemila in un clima cooperativo tra imprese e sindacati; e secondo me si può farlo sulla strada segnata dall’accordo che la Confindustria firmò con tutti i sindacati, Cgil compresa, il 28 giugno 2011. Lì ci sono due principi di fondo: si può meglio cooperare se ci si conta – cioè se si misura quanto pesano i diversi sindacati – e se i diritti e i doveri sono uguali per tutti. Ovvero, nessun sindacato deve essere escluso, si decide a maggioranza, ma poi tutti devono rispettare le decisioni della maggioranza».

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