La proposta sul default ordinato pericolosa per l’Italia – con Lorenzo Codogno, il Sole 24 Ore, 6 ottobre 2017

L’allarme lanciato su queste colonne da Stefano Micossi e da Carlo Bastasin (il 23 e il 30 settembre, rispettivamente) è del tutto condivisibile. Sul tavolo negoziale europeo sembrano farsi strada due proposte assai azzardate che per l’Italia sarebbero estremamente pericolose.

La prima consiste nel rafforzare la disciplina di mercato sui paesi ad alto debito attraverso la definizione di regole per quello che viene definito il “default ordinato” dei titoli pubblici; la seconda nel porre dei tetti alle posizioni in titoli di stato delle banche. Il nesso fra le due proposte è ben esplicitato nell’appello di alcuni economisti francesi e tedeschi che è stato pubblicato qualche giorno fa su Le Monde e sul Frankfurter Allgemeine Zeitung.  Una regola per il default di uno stato non può essere del tutto credibile se prima non si rescinde il ‘loop diabolico’ che lega le sorti delle banche a quelle degli stati. Di qui l’idea di porre un limite alla quantità di titoli di stato che le banche possono detenere. Da parte della Germania e di vari altri paesi è stato anche chiarito da tempo che questa idea – o una sua qualche variante – è propedeutica rispetto agli ulteriori passi che tutti riconoscono devono essere fatti per completare l’Unione Bancaria, ossia la costituzione del fondo europeo per la garanzia dei deposti e l’attivazione della garanzia fiscale per il fondo di risoluzione delle banche.

A sua volta, la ragione per la quale si ritiene necessario rafforzare la disciplina di mercato è che si prende atto che le regole in materia di bilanci pubblici hanno funzionato in maniera molto parziale e sono oggi oggetto di critica aperta da parte di molte forze politiche in vari stati membri. Di qui l’idea di avere meno regole e più semplici, creando al tempo stesso un sistema all’interno del quale possa esplicarsi al meglio la disciplina di mercato.

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L’idea di porre un limite alla detenzione dei titoli di Stato è stata oggetto di studi, anche da parte della Banca d’Italia, e di molte riunioni, dell’Ecofin e del Comitato di Basilea. È noto che l’Italia non accetta questa impostazione che obbligherebbe le nostre banche a scaricare sul mercato una gran quantità di titoli di stato. La novità consiste nel fatto che questa proposta sembra trovare consensi in Francia in un momento in cui si riavvia il negoziato sul futuro dell’Unione. Anche l’idea di fissare delle regole per il default ordinato dei titoli pubblici non è nuova, essendo stata espressa più volte pubblicamente ad esempio dal Presidente della Bundesbank, ma per la prima volta sembra diventare parte integrante del negoziato europeo. È quindi utile provare a definire una posizione che potrebbe essere articolata in due punti. In primo luogo, non si può negare che la disciplina di mercato sia indispensabile per l’ordinato funzionamento di qualunque federazione di stati. Non è certamente sensata l’idea, che pure ha un certo seguito in Italia, secondo cui, attraverso la BCE o il Meccanismo Europeo di Stabilità, l’Europa debba proporsi di portare gli spread di rendimento fra titoli pubblici di paesi con diverso merito di credito a livello zero o prossimo allo zero. Questo equivarrebbe a dare una garanzia ex ante di bail out per tutti e in qualunque condizione: chiaramente un’idea non sensata né accettabile da molti paesi europei e in primis dalla Germania.

Al tempo stesso- questo è il secondo punto – bisogna dire chiaramente che il default ordinato non esiste e che il solo fatto di discuterne può fare molto danno, come accadde nel 2010, quando al vertice di Deauville fu prospettata l’ipotesi di coinvolgere i privati nella ristrutturazione del debito greco. La conseguenza fu una grave destabilizzazione dell’intera area dell’euro.

Il problema di fondo è il seguente: una piccola ristrutturazione – che è ciò di cui si parla – ridurrebbe di qualche punto percentuale il debito e non sarebbe quindi risolutiva. Essa generebbe l’aspettativa di una ristrutturazione più grande, e quindi provocherebbe massicce fughe di capitali, un aumento dello spread di rendimento e il rischio di perdita di accesso al mercato finanziario. Insomma, un film già visto.

D’altra parte, una ristrutturazione risolutiva, tale cioè da rassicurare i mercati che non ve ne saranno altre, dovrebbe ridurre il debito di svariate decine di punti di Pil. Essa avrebbe quindi l’effetto di impoverire le famiglie e le imprese, affondare la domanda interna e portare l’economia in una recessione gravissima. Essa avrebbe un effetto simile a quello di una maxi imposta patrimoniale o di un bail in applicato non a poche migliaia, ma a milioni di risparmiatori.

Se sui tavoli che contano si continuerà a parlare di default ordinato, la destabilizzazione del mercato potrebbe anche avvenire molto presto, dal momento che gli operatori anticipano ciò che potrebbe accadere in futuro. Mentre dunque nel caso dei limiti al portafoglio titoli delle banche è forse possibile trovare una mediazione, ad esempio ipotizzando un periodo transitorio molto lungo, sulla questione del default ordinato c’è solo da dire di no. Forse questa idea è solo un’arma negoziale, una pistola puntata contro chi stenta ad accettare la disciplina di bilancio. A questo l’Italia non può che rispondere facendo ciò che dovrebbe fare comunque e cioè definendo un percorso credibile di rientro dal debito, se possibile d’intesa fra le forze politiche come proposto qualche giorno fa da Gianni Toniolo.

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