L’Unità
11.01.2013
La crescita intelligente è la nostra sfida
Intervento Giampaolo Galli
Con l’intervento di Jean-Claude Juncker, l’Europa, attraverso uno dei suoi esponenti più autorevoli, ha messo il lavoro al centro dell’agenda politica. Non si tratta di una novità assoluta, ma l’enfasi, maggiore del solito, è sicuramente benvenuta ed è giustificata da due circostanze. La prima è che la disoccupazione continua a salire econtinua a s sta ormai raggiungendo livelli preoccupanti. Nell’eurozona i senza lavoro sono l’11,8% delle forze di lavoro, che corrisponde a quasi diciannove milioni di persone. Nei Paesi più colpiti dalla crisi finanziaria, la situazione è gravissima. Grecia e Spagna stanno al 26%, il Portogallo al 16%, l’Irlanda al 14,6%. L’Italia con l’11,1% sta un po’ meglio della media, ma occorre tenere conto che sulla media pesano molto le situazioni assolutamente patologiche di pochi Paesi. In realtà quasi tutti i Paesi dell’Eurozona hanno tassi di disoccupazione più bassi del nostro. La seconda circostanza, che consente di guardare con più attenzione al tema del lavoro, è che la crisi finanziaria preoccupa un po’ meno di qualche mese fa. È forse prematuro dire che sia superata, i rischi sono sempre in agguato, ma certo oggi ben pochi si chiedono ciò che tutti si chiedevano con angoscia fino a poco tempo fa: se l’Euro fosse destinato a sopravvivere. Oggi pensiamo che l’euro sia destinato a durare e ciò grazie al ripensamento che ha avuto luogo in Germania – ad esempio riguardo al salvataggio, tardivo, della Grecia o alla supervisione bancaria comune – e alle scelte che della Bce. Tali cambiamenti non sarebbero stati possibili senza le politiche che sono state attuate nei Paesi in crisi, in primis in Italia. Vale la pena di ripeterlo all’inizio di una campagna elettorale in cui sembrano prevalere gli slogan dell’ultima ora e qualcuno sembra dimenticarsi le ragioni che hanno portato, non un secolo fa ma tredici mesi fa, al varo del governo Monti. Senza il governo Monti e la sua capacità di dialogare con la Germania e con l’Europa, oggi ci preoccuperemmo di come salvare l’Italia e i risparmi degli italiani. Il lavoro mancherebbe lo stesso, perché lo spread prosciuga il credito bancario per imprese e famiglie, ma, in Italia e in Europa, non avremmo la possibilità di discuterne seriamente. La strategia da tempo proposta dalla Commissione Europea, detta «Europa 2020», rimane un punto di riferimento per le politiche a sostegno della competitività delle imprese e dell’occupazione. Nelle sue linee di fondo tale strategia si propone di produrre una crescita che sia «intelligente», ossia basata su un forte investimento in istruzione, ricerca e innovazione; «sostenibile», grazie ad una graduale riconversione verso un’economia a basso contenuto di carbonio; «inclusiva», ossia capace di contrastare emarginazione e povertà. In breve un’Europa più competitiva, ma anche più giusta, più innovativa e rispettosa dell’ambiente. Tutti questi aspetti si tengono. Il punto chiave è che non si riescono a fare le politiche per la competitività delle imprese, se esse non sono percepite dalle persone come parte di una strategia volta a risolvere con equità i problemi di tutti. In Italia abbiamo problemi aggiuntivi o peculiari, almeno nell’intensità, rispetto alla generalità degli altri Paesi europei, che hanno fatto sì che da vari lustri da noi ci sia il più basso tasso di crescita in Europa e uno dei più bassi al mondo. I problemi sono stati dunque aggravati dalla crisi, ma preesistono a essa. Abbiamo poca ricerca, nel pubblico e nel privato, anche se non mancano aree di eccellenza, abbiamo una pressione fiscale fra le più alte, abbiamo una burocrazia inefficiente, spesso a causa di norme confuse, che scoraggia gli investimenti e la voglia di fare impresa. Abbiamo un tasso di infedeltà fiscale che ha pochi eguali in Europa, il che è inaccettabile anche dal punto di vista strettamente economico perché chi evade sottrae risorse preziose alla collettività e distorce il mercato con una concorrenza sleale che frustra gli sforzi di innovazione degli imprenditori migliori. Corruzione e criminalità sono fenomeni diffusi: anch’essi producono gravissime distorsioni del mercato e della concorrenza e portano a un’allocazione delle risorse inefficiente. Dell’insieme di questi problemi, complessi e radicati nella nostra storia, ci dobbiamo occupare se vogliamo seriamente affrontare il problema della bassa crescita e della mancanza di lavoro.