Blocco dei settori “non essenziali”: quali risvolti per l’economia nazionale? Ocpi, 7 aprile 2020, di Giampaolo Galli, Raffaela Palomba e Federica Paudice

Nel decreto del 25 marzo è stata aggiornata la lista dei settori ritenuti essenziali per il sistema e che pertanto possono continuare la loro attività anche nella situazione di emergenza attuale. I settori “non essenziali”, la cui produzione viene quindi bloccata, rappresentano circa il 40 per cento del valore aggiunto e della produzione dell’economia italiana. Ciò ha delle ripercussioni dirette e indirette sulla catena del valore delle imprese. Nella presente nota si utilizzano le tavole Input-Output per stimare i possibili effetti sulle principali variabili economiche. Particolarmente preoccupanti risultano essere gli effetti sulle esportazioni e sugli investimenti, bloccati nella misura del 63 e del 43 per cento rispettivamente.

Tra le misure adottate per far fronte all’emergenza Covid-19 vi è il blocco – inizialmente previsto fino al 3 aprile e poi prorogato fino al 13 aprile – di molti comparti produttivi ritenuti non essenziali; tale chiusura è stata resa necessaria sia per il contenimento del contagio sia per la sanificazione dei luoghi di lavoro. La lista dei settori ritenuti “essenziali” per i quali è stata consentita la continuità dell’attività produttiva è stata pubblicata per la prima volta all’interno dell’allegato 1 del Dpcm 22 marzo 2020 ed è stata aggiornata con il Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 25 marzo. Tra le principali attività giudicate non essenziali vi sono quasi tutte le attività del settore manifatturiero, l’estrazione di minerali, i settori del turismo, dell’arte e dello sport. Sulla base dei dati Istat, si può stimare che circa il 40 per cento del valore aggiunto e della produzione italiana è imputabile ai settori bloccati. Va detto però che la norma consente qualche margine di flessibilità, affidata ai prefetti, laddove la produzione di un’impresa di un settore bloccato risulti necessaria per la filiera di un settore classificato come essenziale.

Oltre al danno diretto derivante dalla cessazione della produzione bisogna tenere conto dei danni indiretti derivanti dalle interrelazioni tra i diversi settori produttivi: la cessazione di un’attività si ripercuote infatti sugli altri settori creando dei gap nella catena produttiva. Il blocco di singoli settori ha ripercussioni su altri settori e quindi sull’intera economia. Ciò è particolarmente vero per il settore manifatturiero che ha un ruolo di traino dell’intera economia, in quanto attiva valore aggiunto e occupazione di molti altri settori.

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Utilizzando le tavole Input-Output prodotte dall’Istat, abbiamo simulato la chiusura dei comparti “non essenziali” per quantificarne il possibile impatto sui principali aggregati della nostra economia: importazioni, consumi, investimenti ed esportazioni.[1]

Investimenti ed esportazioni

Circa 120 miliardi di investimenti fissi lordi provengono da settori bloccati, una quota del 43 per cento degli investimenti totali. Il blocco, se prolungato nel tempo, ha dunque conseguenze assai negative sull’accumulazione di capitale e sul potenziale di crescita dell’economia.

Un altro danno significativo all’economia italiana è rappresentato dalla riduzione dell’export. Secondo le nostre stime, i settori bloccati rappresentano ben il 63,5 per cento dell’export totale italiano, valore che non sorprende se si pensa che fra questi settori vi è quasi tutta l’industria manifatturiera, con la sua forte vocazione all’export.

Consumi finali

I consumi finali domestici di prodotti italiani provenienti da settori bloccati ammontano approssimativamente a 365 miliardi in termini di valore aggiunto, questo valore rappresenta il 29,5 per cento dei consumi totali. Questi consumi sono in larga misura destinati alle famiglie.

Quanto rilevato costituisce una porzione di domanda non soddisfatta che potrebbe essere potenzialmente compensata da nuove importazioni. Bisogna tenere altresì conto che le abitudini di consumo hanno subito alterazioni a seguito delle misure che hanno imposto il distanziamento sociale. Tali restrizioni hanno previsto tra le altre cose la chiusura dei punti di vendita al dettaglio: ciò ha implicato un aumento del ricorso all’e-commerce per gli acquisti che, a sua volta, ha dato ulteriore impulso alle importazioni.

Importazioni

Per quanto riguarda l’import, occorre tenere conto di due fattori:

  • da un lato, si deve considerare la riduzione delle importazioni relative agli input intermedi destinati ai settori bloccati;
  • dall’altro lato, si possono registrare incrementi delle importazioni dovute all’interruzione della produzione italiana a seguito della chiusura dei settori bloccati. Vi è infatti una parte della domanda di input intermedi destinati ai settori produttivi “essenziali” che prima era soddisfatta dai settori che sono stati chiusi. Per garantire la continuità delle attività essenziali, a meno di provvedimenti ad hoc dei prefetti, sarà necessario ricorrere all’importazione degli stessi input.

La riduzione di importazioni di input dovuto al blocco della produzione nei settori “non essenziali” è quantificabile in poco meno di 140 miliardi, pari al 32,5 per cento del totale delle importazioni.

Per altro verso, gli input intermedi che in condizioni ordinarie sono forniti dai settori bloccati ai settori “essenziali” sono quantificabili in circa 200 miliardi, che corrispondono al 22,5 per cento del totale degli input totali necessari ai settori “essenziali”. Questa cifra rappresenta un potenziale incremento delle importazioni. A questi effetti vanno però aggiunti quelli derivanti dal crollo della domanda interna ed estera, che determineranno una forte caduta delle importazioni.

Come si è già detto sopra – ma vale la pena di ripeterlo – questa è un’analisi dell’offerta che fornisce utili spunti di riflessione, ma non considera il crollo in atto della domanda, sia di quella interna sia di quella estera, né tiene conto del fatto che molti altri paesi hanno bloccato o stanno bloccando la produzione. Per altro verso, l’analisi non riesce a tenere conto del fatto che alcune attività bloccate in realtà continuano ad operare sotto forma di “smart working” o comunque di lavoro on line. L’effetto netto di queste due considerazioni (il crollo della domanda e il lavoro on line) non può che essere quello di aggravare la caduta degli investimenti e delle esportazioni rispetto a quanto emerge dalla sola analisi dal lato dell’offerta. Il blocco delle attività economiche è un passaggio necessario per superare l’emergenza sanitaria, ma ha un costo molto elevato per l’economia e dunque per il benessere degli italiani. Preoccupa in particolare il blocco dell’accumulazione di capitale che rischia di avere ripercussioni non transitorie sul potenziale di crescita dell’economia.

Appendice metodologica

Ai fini dell’analisi è stata utilizzata la tavola simmetrica totale branca per branca (con tecnologia di branca) a 63 settori.[2] Ogni colonna rappresenta la produzione (nazionale e importata) di una branca ed ogni cella della riga contiene il valore della produzione della branca che affluisce alle altre branche dell’economia, sotto forma di input intermedi, nonché ai vettori della domanda finale (consumi, investimenti, esportazioni). Si è poi utilizzata l’analoga matrice, sempre di fonte Istat, per le importazioni che rappresenta gli stessi flussi della matrice totale, ma riferiti solo ai beni importati. Ai fini della simulazione, è stata isolata la produzione domestica di ogni branca, sottraendo alla tavola totale quella relativa alle sole importazioni. Le branche sono state poi distinte in “essenziali” e bloccate, coerentemente con quanto riportato nell’allegato 1 del decreto 25 marzo 2020.

Tav. 1: Sintesi dei risultati

Indicatore

Milioni di euro

%

Interpretazione

Input italiani provenienti dai settori bloccati destinati ai settori essenziali

197.156

22,5%

Rappresenta un gap di input al fine di garantire continuità ai settori “essenziali”; a meno di decisioni ad hoc sulle singole imprese, tale gap potrebbe essere colmato da maggiori importazioni. La percentuale è espressa in relazione al totale degli input (nazionali ed importati) necessari per il funzionamento dei settori essenziali.
Input importati destinati ai settori bloccati

138.323

32,5%

Rappresenta il blocco delle importazioni italiane (esportazioni estere) di input destinati ai settori bloccati. La percentuale è espressa in relazione al totale delle importazioni.
Input italiani provenienti dai settori bloccati destinati a consumi finali

365.771

29,5%

Rappresenta la quota di consumi finali non soddisfatta che potrebbe essere compensata da maggiore import. La percentuale è espressa in relazione al totale dei consumi.
Contributo dei settori bloccati agli investimenti fissi lordi

119.925

43,0%

Rappresenta la perdita in termini di investimento. La percentuale è espressa in relazione agli investimenti totali.
Contributo dei settori bloccati alle esportazioni

293.571

63,5%

Rappresenta la quota di esportazione di prodotti provenienti da settori chiusi. La percentuale è espressa in relazione al totale delle esportazioni.
Fonte: elaborazione Osservatorio CPI su dati Istat

[1] Per maggiori dettagli si veda l’Appendice.

[2] Si veda al seguente link: https://www.istat.it/it/archivio/238228. Le matrici che sono state utilizzate sono la SIMM_TOT_63BxB.xls e la SIMM_IMP_63BxB.xls, relative all’ultimo anno disponibile, il 2016.

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