Tutti i rischi dei tagli alle spese fiscali, di Carlo Cottarelli e Giampaolo Galli, Il Sole 24Ore, 27 luglio 2019

Una delle varie proposte di riforma del sistema fiscale avanzate dai partiti di governo prevede l’introduzione di un’aliquota al 15% per i redditi familiari fino a 55.000 euro (la cosiddetta Flat tax), finanziata almeno in parte con tagli delle spese fiscali. Ci siamo concentrati su questo secondo aspetto in una nota che sarà pubblicata oggi sul sito web dell’Osservatorio CPI. Su quali spese fiscali si può davvero intervenire? E quali sarebbero le conseguenze redistributive?

Le spese fiscali relative alla sola Irpef valgono in tutto 133 miliardi e possono essere distinte in spese fiscali in senso stretto e in senso ampio. Le prime favoriscono particolari categorie di contribuenti, rappresentando una deviazione rispetto alla normale struttura dell’Irpef (ad esempio, le detrazioni per spese di ristrutturazione). Le seconde, quelle in senso ampio, possono essere considerate parte integrante della struttura del tributo, quale ad esempio il regime della no tax area per i redditi più bassi.

Quasi tutte le spese fiscali in senso ampio, complessivamente 94 miliardi, possono essere ritoccate, ma difficilmente possono essere eliminate perché assicurano il rispetto di principi costituzionali o di trattati internazionali: è questo il caso, ad esempio, delle detrazioni per redditi da lavoro dipendente o per familiari a carico. Tra le spese fiscali in senso ampio, quelle che sembrano davvero intoccabili sono solo quelle che evitano doppia tassazione. Si pensi alla deduzione per i contributi obbligatori, essenziale per evitare di tassare la pensione due volte.

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Per la maggior parte delle spese fiscali in senso stretto (complessivamente 39 miliardi) non esistono invece vincoli giuridici che ne impedirebbero l’eliminazione, ma per intervenire occorrerebbe ovviamente scegliere a quali categorie di contribuenti togliere i benefici fiscali. L’argomento è particolarmente complesso dal momento che, in base ai dati delle dichiarazioni, l’80% dei contribuenti – 40 milioni di persone, quasi tutti lavoratori dipendenti o pensionati – dichiara redditi inferiori a 28mila euro. Questi cittadini rappresentano il 37% del reddito dichiarato e sono beneficiari del 63% delle spese fiscali. Il risultato è che attualmente l’aliquota media effettiva per i redditi bassi sta ben sotto il 15%: 5,2% per le dichiarazioni di redditi inferiori ai 15mila euro e 14,4% per le dichiarazioni tra i 15 e i 28mila.

Il grosso delle spese fiscali agevola dunque fasce deboli della popolazione: molte detrazioni e deduzioni sono rivolte a chi ha redditi bassi, ma anche a chi ha famiglie numerose, figli minori o disabili a carico o sostiene spese mediche. Probabilmente è proprio per tenere conto di queste situazioni, che riguardano milioni di persone, che è stata prospettata la possibilità che la Flat Tax diventi un regime opzionale: il contribuente potrebbe scegliere se aderirvi o no. Ciò comporterebbe però un notevole aumento dei costi per lo Stato e complicherebbe ulteriormente il sistema fiscale anziché semplificarlo.

Un’ulteriore problema che caratterizzerebbe il sistema proposto sarebbe il salto dell’aliquota marginale in corrispondenza della soglia di 55mila euro, al di sopra della quale il sistema tornerebbe ad essere quello attuale. Ciò rappresenta un incentivo all’evasione (per rimanere entro la soglia) e un disincentivo al lavoro di un coniuge, il che aggraverebbe il problema del basso tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

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