Per i redditi bassi la flat tax non conviene, di Alessandro Banfi, Giampaolo Galli e Carlo Valdes, 27 luglio 2019, Ocpi.

Le cosiddette fiscal expenditures relative all’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) ammontano complessivamente a 133 miliardi. Le motivazioni sono varie: l’esigenza di evitare doppia tassazione, sentenze della Corte Costituzionale, trattati internazionali, sostegno alle fasce più deboli della popolazione. La maggior parte di esse si concentra sui redditi bassi e medio-bassi e contribuisce in misura determinante a rendere fortemente progressivo il nostro sistema fiscale: basti considerare che l’aliquota media effettiva sui redditi fino a 15mila euro è del 5,2 per cento e sale al 14,4 per cento (quindi ancora inferiore all’aliquota del 15 per cento propugnata dai teorici della flat tax) sui redditi fra 15 e 28mila euro. Se le spese fiscali fossero tout court abolite, queste due aliquote salirebbero al 22,2 e al 24,2 per cento rispettivamente. Questo implica che ci siano molti contribuenti con reddito medio o medio-basso che non pagano quasi nulla perché hanno situazioni particolari come numerosi figli piccoli o disabili a carico.

L’unico modo per introdurre l’aliquota al 15 per cento senza danneggiare milioni di contribuenti meritevoli di attenzione da parte del legislatore è quello di introdurre una clausola di salvaguardia in base alla quale il contribuente sceglie il regime che gli conviene. Questo però complicherebbe l’attività di controllo, soprattutto se diventasse un esempio per future riforme perché moltiplicherebbe i regimi di tassazione in essere. Questo è in contrasto con uno degli obiettivi dichiarati della flat tax, quello di semplificare il sistema tributario. Data la loro attuale configurazione, operazioni di riduzione delle spese fiscali possono certamente essere fatte, ma diventa molto difficile conciliare l’esigenza di semplificazione con quella di evitare perdite per fasce anche ampie dei contribuenti.

* * *

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Dalle dichiarazioni delle ultime settimane, sembra che entrambi i partiti di maggioranza intendano affrontare il tema della riforma dell’Irpef, partendo però da proposte diverse. La proposta che sembra avere più consenso nella Lega prevede un’aliquota al 15 per cento applicata ai redditi familiari sotto i 55mila euro, mentre il Movimento 5 Stelle ragiona sul passaggio dai 5 scaglioni attuali a 3 con una riduzione delle aliquote.[1] Un punto su cui sembra esserci condivisione, almeno a parole, nei due partiti è che la riforma fiscale dovrebbe essere finanziata almeno in parte con tagli delle cosiddette spese fiscali, con il che si intende la somma di deduzioni, detrazioni, esenzioni, regimi speciali e crediti d’imposta che riducono il gettito fiscale.[2]

Le spese fiscali relative all’Irpef valgono ben 133 miliardi e possono essere divise in due aggregati (si veda Tavola 1):

  1. Le spese fiscali in senso stretto che ammontano a circa 39 miliardi. La caratteristica fondamentale delle spese fiscali in senso stretto è che rappresentano una deviazione significativa dall’assetto “normale” della tassazione in favore di una particolare categoria di contribuenti. Un esempio sono le spese di ristrutturazione: la possibilità di detrarle rappresenta una deviazione rispetto a quanto dovuto secondo la normale struttura dell’Irpef. La spese fiscali in senso stretto sono censite ogni anno in un rapporto redatto da una commissione del MEF, allegato al disegno di legge di bilancio in base al DL n. 160 del 24 settembre 2015.[3]
  2. Le spese fiscali in senso ampio che riguardano, invece, anche le voci che possono essere considerate parte integrante della struttura del tributo. Tra queste rientrano alcune poste importanti, come le detrazioni per reddito da lavoro dipendente, le detrazioni per familiari a carico e le deduzioni per i contributi pensionistici. L’ultimo censimento di queste spese risale ai lavori di una commissione ad hoc che lavorò sulle dichiarazioni dei redditi relative al 2011.[4] Per rendere queste spese confrontabili con quelle delle spese in senso stretto i valori del 2011 sono stati aggiornati con la variazione del Pil nominale.[5]

La Tavola 1 contiene entrambe le categorie di spese e ne quantifica l’ammontare come la perdita di gettito rispetto al caso in cui si fosse applicata la normale aliquota Irpef. L’ammontare delle singole voci è stato suddiviso in tre colonne, per cercare di rappresentare in quale misura queste siano modificabili. La prima voce racchiude tutte quelle misure che evitano una doppia tassazione del reddito, principio cardine del nostro sistema tributario. La seconda include le voci protette da obblighi costituzionali e/o accordi internazionali, in tal senso rimodulabili, ma non eliminabili in toto. La differenza rispetto al totale indica la parte che in teoria può essere eliminata in toto.

Tav. 1: Riclassificazione spese fiscali 
(Valori in milioni di euro)

Spese fiscali in senso stretto1

Totale

Evita doppia tassazione

Rimodulabili

Eliminabili in toto

Bonus Renzi 80 euro

9.392,7

0,0

0,0

9.392,7

Spese fiscali per recupero del patrimonio edilizio (es. detrazione per spese di ristrutturazione)

7.688,3

0,0

0,0

7.688,3

Misure in favore della prima casa (es. detrazione interessi per mutui su prima casa)

5.114,6

0,0

0,0

5.114,6

Spese sanitarie a supporto del SSN

4.236,1

0,0

0,0

4.236,1

Misure a favore di particolari categorie di pensioni (es. reversibilità, invalidità, etc.)

2.631,0

136,3

0,0

2.494,7

Misure in favore della previdenza complementare

2.017,8

0,0

0,0

2.017,8

Assegni familiari, assegni al coniuge e assegni alimentari

2.409,4

2.409,4

0,0

0,0

Misure in favore dei lavoratori (es. mense, buoni pasto, premi produttività, etc.)

1.623,5

0,0

10,2

1.613,3

Misure in favore di istruzione (es. detrazione spese per istruzione)

988,2

8,6

0,0

979,6

Misure relative a locazioni agevolate (es. cedolare secca, locazione studenti universitari, etc.)

539,8

11,0

0,0

528,8

Misure a favore dell’ambiente (es. elettrodomestici A+)

346,5

0,0

0,0

346,5

Misure in favore di prodotti di investimento (PIR) e assicurazioni contro eventi sismici

68,5

0,0

0,0

68,5

Misure specifiche su TFR e indennità di fine rapporto

585,0

0,0

342,0

243,0

Misure a sostegno del trasporto pubblico locale (es. detrazione abbonamento mezzi)

98,3

0,0

0,0

98,3

Misure a sostegno dello sport (es. detrazione abbonamenti piscina per figli minorenni)

519,9

0,0

0,0

519,9

Misure a sostegno delle famiglie per decessi e disabilità

557,9

0,0

0,0

557,9

Altre spese minori

204,2

1,2

10,0

193,0

Misure a favore del terzo settore e del volontariato

100,7

0,0

6,6

94,1

Misure a favore dei titolari di cariche elettive

57,2

0,0

0,0

57,2

Misure a favore dell’agricoltura

29,1

0,0

0,0

29,1

TOTALE (spese fiscali in senso stretto)

39.208,7

2.566,5

368,8

36.273,4

Spese fiscali in senso ampio2

Detrazioni per redditi di lavoro dipendente, pensione e redditi assimilati

42.777,9

0,0

42.777,9

0,0

Detrazioni per familiari a carico

12.302,6

0,0

12.302,6

0,0

Deduzioni dei contributi obbligatori

15.972,0

15.551,6

0,0

420,4

Imposte sostitutive sui redditi da capitale

15.615,2

0,0

15.615,2

0,0

Regimi di tassazione separata

6.869,7

0,0

6.869,7

0,0

TOTALE (spese fiscali in senso ampio)

93.537,5

15.551,6

77.565,4

420,4

Totale spese fiscali

132.746,2

18.118,1

77.934,2

36.693,8

Tali voci fanno riferimento al rapporto della commissione sulle spese fiscali elaborato nel 2018 dalla commissione Marè, consultabile al link http://www.mef.gov.it/documenti-allegati/2019/Rapporto_Spese_fiscali_2018.pdf
L’ultimo rapporto della commissione sulle spese fiscali che includeva le spese fiscali in senso ampio è stato elaborato nel 2011 dalla commissione Ceriani disponibile al seguente link http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/20111229/Relazione_finale_del_gruppo_di_lavoro_sullxerosione_fiscale.pdf. Per rendere tali valori meglio confrontabili con l’ultimo rapporto elaborato nel 2018, abbiamo ipotizzato un tasso di crescita pari a quello del Pil nominale dal 2011 al 2018.

Le spese fiscali in senso ampio rappresentano le voci più corpose:

  • Le detrazioni per redditi da lavoro dipendente, pensioni e redditi assimilati valgono poco meno di 43 miliardi (il 32 per cento dei 133 miliardi). Queste includono principalmente le detrazioni che determinano il regime di no tax area (esenzione Irpef per redditi fino a 8mila euro), incidendo così sulla fascia più povera della popolazione. Sono inoltre protette da obblighi costituzionali e non sono quindi eliminabili del tutto.[6]
  • Le detrazioni per familiari a carico (es. figli naturali o adottivi) valgono 12 miliardi circa. Anche in questo caso la soppressione di questa voce potrebbe essere non ammissibile dal punto di vista costituzionale.[7]
  • Le deduzioni per contributi obbligatori valgono 16 miliardi circa e sono quasi del tutto intoccabili. Questo perché nel nostro sistema previdenziale le prestazioni erogate (la pensione) sono soggette a tassazione: non consentire la deduzione dei contributi versati implicherebbe quindi una doppia tassazione.[8]
  • La voce “Imposte sostitutive sui redditi da capitale” ammonta a poco più di 15,5 miliardi. Si tratta di una cifra consistente che è calcolata come il gettito perso qualora venisse applicato a ciascun contribuente lo scaglione Irpef di competenza. Il nostro ordinamento tributario, come quello di molti altri paesi, prevede da sempre una tassazione separata per i redditi da capitale (utili d’impresa, interessi, titoli di stato). Le principali motivazioni di questa scelta sono: i) la possibilità di resistere meglio alla concorrenza fiscale di altri paesi sulle basi imponibili più mobili, ii) la neutralità di trattamento tra i diversi redditi da capitale, con conseguente eliminazione delle opportunità di arbitraggi fiscali e iii) la possibilità di semplificare fortemente il sistema, ricorrendo a ritenute definitive alla fonte.[9]
  • L’ammontare dei “Regimi di tassazione separata” vale 7 miliardi e riguarda la tassazione dei redditi formati in più periodi di imposta e che verranno erogati in un’unica soluzione alla fine del rapporto (essenzialmente il TFR). Anche in questo caso tale voce è solamente rimodulabile in quanto protetta da principi costituzionali.[10]

In sintesi, quasi tutte le spese fiscali in senso ampio possono essere ritoccate, ma non possono essere eliminate del tutto perché non costituiscono delle agevolazioni per specifiche categorie di contribuenti, ma sono necessarie per il rispetto di principi di rilevanza costituzionale o, come nel caso delle imposte sostitutive, costituiscono un regime fiscale differente. Fanno eccezione le voci che servono ad evitare una doppia tassazione, come i contributi pensionistici obbligatori, che non possono essere messe in discussione.

Le voci classificabili come “spese fiscali in senso stretto”, ossia quelle che sono oggetto del rapporto annuale del MEF allegato allo stato di previsione delle entrate, si attestano a 39 miliardi. Nella Tavola 1 abbiamo operato una riclassificazione delle 142 voci considerate dal MEF in 20 macro-categorie. Sulla maggior parte di queste voci non esistono i vincoli che abbiamo invece incontrato fino ad ora.

La voce principale tra queste spese è il cosiddetto Bonus 80 euro che vale oltre 9 miliardi.[11]Vale poco meno l’insieme di misure per il recupero del patrimonio edilizio (7,6 miliardi). Le voci successive, in termini dimensionali, hanno per lo più motivazioni di carattere sociale. Rientrano tra queste le misure in favore della prima casa (5,1 miliardi), le spese fiscali a supporto del sistema sanitario o la detraibilità delle spese sanitarie (4,2 miliardi) e le misure a favore di particolari categorie di pensioni come reversibilità e invalidità per un totale di 2,6 miliardi.

La distribuzione delle spese fiscali per scaglioni di reddito

Nel rapporto della Corte dei Conti sul 2017 è riportata la distribuzione per scaglioni di reddito, oltre che degli imponibili e del gettito, anche delle spese fiscali (deduzioni e detrazioni) per un totale di euro 107,5 miliardi (si veda Tavola 2).[12] Come si vede dalla tavola, il totale dei soggetti dichiaranti è pari a 40,1 milioni, dei quali l’80 per cento dichiara redditi inferiori a 28mila euro. Da questi contribuenti proviene il 51,9 per cento del reddito dichiarato e il 32,9 per cento del gettito. La notevole differenza fra queste due cifre (quasi 20 punti percentuali) è dovuta al fatto che le spese fiscali si concentrano sulle fasce di reddito più basse: per la precisione il 62,5 per cento delle spese fiscali riguarda contribuenti che dichiarano meno di 28mila euro.

Una semplice simulazione mostra che se per ipotesi si azzerassero le spese fiscali per tutti gli scaglioni di redditi, la quota del gettito proveniente dai contribuenti che dichiarano meno di 28mila euro salirebbe dal 32,9 per cento al 45,1 per cento. Ciò indica che la progressività del sistema fiscale è dato in parte dalla progressività delle aliquote (che spiegano la differenza fra la quota dei redditi – 51,9 per cento – e il 45,1 per cento) e per una parte maggiore dalle spese fiscali che sono in larga misura volte a favorire i contribuenti con redditi medi e medio-bassi. Senza le spese fiscali, l’imposta media sarebbe pari a 1.609 euro (anziché 375) per i redditi inferiori a 15mila e a 5.170 euro (anziché 3.089) per i redditi fra 15 e 28mila. Un altro modo di vedere la questione è che, in assenza di spese fiscali, l’aliquota media effettiva sarebbe pari al 22,2 per cento, anziché 5,2 per cento, per lo scaglione sotto i 15mila euro e al 24,1 per cento, anziché 14,4 per cento, per lo scaglione 15-28mila. Cambierebbe di meno (dal 34,5 al 37,3 per cento) per i redditi superiori a 75mila euro.

Tav. 2: IRPEF: redditi dichiarati, base imponibile, gettito e spese fiscali

(Distribuzione per scaglioni di reddito, valori in miliardi di euro)

Scaglioni di reddito

<15mila

15-28mila

28-55mila

55-75mila

>75mila

Totale

A) Soggetti dichiaranti (mln)

17,6

14,5

6,2

0,9

0,9

40,1

quota

43,9%

36,2%

15,5%

2,2%

2,2%

100,0%

quota cumulata

43,9%

80,0%

95,5%

97,8%

100,0%

B) Reddito dichiarato

127,6

311,0

229,6

55,0

121,5

844,7

quota

15,1%

36,8%

27,2%

6,5%

14,4%

100,0%

quota cumulata

15,1%

51,9%

79,1%

85,6%

100,0%

C) Deduzioni

7,3

12,7

13,5

4,4

9,3

47,2

D) Base imponibile

120,3

298,3

216,1

50,6

112,2

797,5

E) Detrazioni

20,1

27,1

10,4

1,1

1,6

60,3

F) Gettito

6,6

44,8

49,2

15,1

40,3

156,0

quota

4,2%

28,7%

31,5%

9,7%

25,8%

100,0%

quota cumulata

4,2%

32,9%

64,5%

74,2%

100,0%

p.m.
G=F/B) Aliquota media effettiva

5,2%

14,4%

21,4%

27,5%

33,2%

18,5%

H=C+E) Spese fiscali

27,4

39,8

23,9

5,5

10,9

107,5

quota

25,5%

37,0%

22,2%

5,1%

10,1%

100,0%

quota cumulata

25,5%

62,5%

84,7%

89,9%

100,0%

I=H/B) Spese fiscali/reddito

21,5%

12,8%

10,4%

10,0%

9,0%

12,7%

L=F/A) Imposta pro capite (euro)

375

3.090

7.936

16.778

44.778

3.890

Simulazione: azzeramento delle spese fiscali
M) Gettito

28,3

75,0

63,3

17,6

45,4

229,1

N=M/B) Aliquota media

22,2%

24,1%

27,6%

32,0%

37,3%

27,1%

O) Imposta pro capite (euro)

1.609

5.170

10.213

19.565

50.414

5.713

Fonte: elaborazione Osservatorio CPI su dati Corte dei Conti (2018) e CER

Alcune implicazioni per la politica economica

Questa rivisitazione delle spese fiscali sollecita alcune riflessioni. La prima è che l’esistenza stessa delle spese fiscali comporta un abbassamento della pressione fiscale. Per questa ragione, cancellarne alcune per finanziare una riduzione delle aliquote non significa abbassare la pressione fiscale, ma lasciarla invariata. In prima approssimazione un contribuente è indifferente fra pagare 100 euro di imposta, anziché poniamo 120, per via delle detrazioni oppure di un’aliquota più bassa. Il vantaggio della seconda ipotesi è quella della semplificazione del sistema fiscale e dell’eliminazione di alcune aree di privilegio che non sembrano pienamente giustificate. La eliminazione o la riduzione di alcune spese fiscali può poi avere un senso come parte di un più ampio processo di revisione della spesa volto a reperire risorse per ridurre il deficit del bilancio pubblico.

Il secondo punto è che la maggior parte delle spese fiscali sono destinate a categorie di contribuenti generalmente considerate meritevoli di attenzione da parte del legislatore. Nel paragrafo precedente abbiamo visto come tali spese abbiano l’effetto di ridurre il carico fiscale dei percettori di redditi bassi o medio-bassi. Ma vi sono altre finalità meritevoli di attenzione dal punto di vista sociale. Ad esempio, molte detrazioni e deduzioni sono rivolte a chi sostiene spese mediche oppure a persone affette da disabilità. Queste considerazioni spiegano perché nessun governo abbia finora messo mano alle spese fiscali, malgrado questo sia stato più volte dichiarato obiettivo prioritario.

Una terza considerazione riguarda i costi di un eventuale passaggio ad una flat tax parziale, ossia applicata ai redditi famigliari sotto una certa soglia e con una deduzione forfettaria in ragione del numero dei componenti del nucleo famigliare. Secondo Baldini e Rizzo, ponendo la soglia del reddito famigliare a 50mila euro e la deduzione per ogni componente della famiglia a 3mila euro e assumendo una clausola di salvaguardia in modo che nessuno possa perdere dalla riforma, il costo sarebbe di circa 17 miliardi, una stima non lontana da quelle del governo.[13] Secondo l’ultimo rapporto di Prometeia, ponendo a 29mila euro la soglia del reddito famigliare e mantenendo la clausola di salvaguardia (che indurrebbe molti percettori degli 80 euro a optare per il vecchio sistema), il numero di beneficiari scenderebbe a 3,6 milioni e i costi si ridurrebbero a 4,1 miliardi.[14]

Al riguardo, va chiarito che in tutte queste stime si assume che, oltrepassata la soglia critica del reddito famigliare, ritorni in vigore il sistema attuale. In altre parole, lo scaglione in cui opererebbe l’aliquota al 15 per cento non si applicherebbe ai redditi più alti. Se così non fosse i costi sarebbero molto più alti, nell’ordine dei 60-70 miliardi di euro. Il fatto però che oltre la soglia si applichi in toto il sistema vigente ha una formidabile controindicazione consistente nel fatto che al crescere del reddito famigliare oltre la soglia la somma delle imposte dovute dai singoli componenti della famiglia aumenterebbe molto e potrebbe facilmente aumentare più di quanto sia aumentato il reddito. In altre parole, l’aliquota marginale in prossimità della soglia potrebbe essere maggiore del 100 per cento. In ogni caso, questo sistema incoraggia le persone a stare all’interno della soglia e scoraggia fortemente l’occupazione di un secondo membro della famiglia, tipicamente la donna. Il sistema dunque rischia di aggravare uno dei problemi più seri del nostro paese rappresentato da un tasso di occupazione femminile al 48 per cento, il più basso d’Europa, dopo la Grecia.

La quarta considerazione è che già oggi le aliquote medie sui redditi bassi sono inferiori al 15 per cento. Come si vede dalla Tavola 2, l’aliquota media sui redditi inferiori a 15mila euro è al 5,2 per cento, quella sui redditi fra 15 e 28mila euro è al 14,4 per cento. E come abbiamo visto ciò è dovuto alle spese fiscali, in assenza delle quali queste due aliquote salirebbero a 22,2 e 24,1 per cento rispettivamente. Ciò significa che ci sono molte persone in queste fasce, ma al di sopra della no-tax area, che pagano davvero molto poco. Ad esempio, attualmente l’imposta netta è uguale a zero (nel senso che l’imposta teorica è esattamente uguale al bonus di 960 euro) per un lavoratore dipendente con un reddito lordo (ma già al netto dei contributi sociali) di 24mila euro, un coniuge e tre figli minori a carico di cui uno disabile. Con la clausola di salvaguardia questo contribuente non perderebbe nulla da una riforma. Ma la clausola di salvaguardia complicherebbe l’attività dell’amministrazione fiscale, soprattutto se diventasse un esempio per future riforme perché moltiplicherebbe i regimi di tassazione in essere. Questo è in contrasto con uno degli obiettivi centrali della flat tax, quello di semplificare il sistema fiscale. È dunque probabile che prima o poi la clausola di salvaguardia venga abolita e, se l’obiettivo della riforma è di semplificare abolendo le spese fiscali o accorpandole in un’unica deduzione forfettaria, questa persona è destinata a pagare di più di quanto paga adesso.

Il punto di fondo è che qualunque tentativo di riforma è destinato a fare i conti con il trade-off fra semplificazione del sistema e tutela delle fasce più deboli della popolazione o comunque di obiettivi sociali ritenuti meritevoli. In effetti, scorrendo analiticamente le 142 voci del rapporto Marè è difficile trovare delle voci che siano palesemente ingiustificate. Potrebbero ad esempio far parte di questa categoria le spesso citate detrazioni per l’iscrizione a palestre e piscine per i figli minori (che ha un costo di 35 milioni annui), ma che trova molti difensori in chi pensa che lo sport sia essenziale per i giovani, oppure il bonus giardini (gettito non quantificato), che pure trova difensori in chi crede che serva a migliorare l’arredo urbano, oppure ancora la detrazione, fino a 1.000 euro, sui compensi pagati agli intermediari immobiliari per l’acquisto della prima casa, che pure trova giustificazione nell’idea che le spese di transazione sono un ostacolo al buon funzionamento del mercato.

Nel complesso, sembra di poter concludere che è piuttosto difficile eliminare singole voci di spese fiscali, ma è sicuramente possibile operare con dei tagli che ne riducano l’ammontare complessivo. Ad esempio, le detrazioni al 19 per cento potrebbero essere portate al 17 o al 15 per cento e le deduzioni potrebbero essere limitate con dei tetti più stringenti di quelli attualmente in vigore per molte di esse. Operazioni di questo genere possono sicuramente essere fatte, ma difficilmente possono essere catalogate come operazioni volte a rendere più semplice il sistema tributario. Più probabilmente sono operazioni che possono avere un senso nell’ambito di una più ampia azione di spending review volta a recuperare risorse per ridurre il deficit del bilancio pubblico.

[1] Il Movimento 5 Stelle sembra orientato verso un sistema a 3 aliquote, innalzando la no tax area da 8.000 a 10.000 euro e portando gli scaglioni al 23 per cento per i redditi fra 10.000 e 28.000, al 37 per cento per i redditi fra 28.000 e 100.000 euro e al 42 per cento per i redditi superiori ai 100.000 euro. Secondo il programma del M5S, la riforma Irpef, compresa l’estensione della no tax area, avrebbe un costo netto di 3,5 miliardi annui. ​Per dare maggiore equità sociale – recita il programma – è stata inoltre prevista la riduzione di alcune detrazioni sul reddito di contribuenti con reddito pro capite superiore a 100.000 euro annui. Oltre questa intenzione di voler rivedere le detrazioni per i redditi molto elevati, non risulta che il Movimento 5 Stelle abbia fatto riferimento ad altre fonti di copertura.

È invece molto recente la descrizione della proposta della Lega riguardo la cosiddetta flat tax sintetizzata dalle parole di Armando Siri: «Il nostro obiettivo è la flat tax con un’unica deduzione fiscale che assorbirà tutte le detrazioni. Vogliamo portare al 15 per cento l’aliquota fino a 55.000 euro di reddito familiare. Ci saranno benefici per 20 milioni di famiglie e 40 milioni di contribuenti. Ci sarà un grande impulso ai consumi e risparmi per 3.500 euro per una famiglia monoreddito con un figlio. C’è l’intenzione di portare nelle tasche 12-13 miliardi di euro».

[2] Ricordiamo che le deduzioni diminuiscono il valore della base imponibile: se io guadagno 120 e ho una deduzione di 20, il reddito su cui applicare l’aliquota Irpef sarà di 100. Le detrazioni, invece, si sottraggono direttamente all’imposta che dovrei pagare: se su quei 100 euro ne pago 20 di tasse, ma ho una detrazione di 5, allora l’imposta netta che dovrò al fisco sarà pari a 15.

[3] Le versioni del rapporto Marè sono consultabili sul sito del MEF al link http://www.mef.gov.it/ministero/commissioni/red_spe_fis/index.html L’art. 1 del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 160, in attuazione dell’articolo 4 della Legge 11 marzo 2014, n. 23 (Legge delega sulla riforma tributaria) disciplina il monitoraggio annuale delle spese fiscali. In particolare il terzo comma, lettera b) prevede che all’art. 21 della Legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), dopo il comma 11, sia inserito il 11‐bis, in base al quale “Allo stato di previsione dell’entrata è allegato un rapporto annuale sulle spese fiscali, che elenca qualunque forma di esenzione, esclusione, riduzione dell’imponibile o dell’imposta ovvero regime di favore, derivante da disposizioni normative vigenti…”. Il quarto comma del medesimo articolo dispone, inoltre, che per la redazione di tale rapporto annuale sulle spese fiscali “il Governo si avvale di una Commissione istituita con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze”. La Commissione, sino ad ora presieduta dal Prof. Mauro Marè, è stata istituita con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze il 28 aprile 2016.

[4] Si fa riferimento, in questo caso, al rapporto sulle spese fiscali redatto dal gruppo di lavoro guidato dal Prof. Ceriani nel 2011. Reperibile al link http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/20111229/Relazione_finale_del_gruppo_di_lavoro_sullxerosione_fiscale.pdf

[5] L’operazione è ovviamente imperfetta dal momento che dal 2011 sono intervenute numerose modifiche delle norme fiscali, di cui per questa categoria di spese non si tiene conto.

[6] Tali detrazioni hanno l’obiettivo di realizzare la progressività del tributo, congiuntamente agli scaglioni Irpef già esistenti. Si escludono, infatti, le fasce di reddito fino a 8.000 euro dalla normale aliquota Irpef. L’entità del beneficio si riduce all’aumentare del reddito netto fino ad annullarsi quando quest’ultimo risulta pari o superiore a 55.000 euro.

[7] Il principio costituzionale a cui si fa riferimento è sancito dall’articolo 53, il presupposto è che tutti sono tenuti a concorre alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Ora, è chiaro che nel nostro sistema tributario l’unità impositiva è il singolo individuo, ma è pur vero che la presenza di familiari a carico, è un fattore che influenza la capacità contributiva dell’individuo stesso, soprattutto se questi non sono in grado di produrre reddito. Queste detrazioni hanno quindi lo scopo di rispettare il principio costituzionale della capacità contributiva. Si rimanda a pagina 12 del Rapporto sulle spese fiscali del 2011 (http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/20111229/Relazione_finale_del_gruppo_di_lavoro_sullxerosione_fiscale.pdf) e, in particolare, alle sentenze della Corte Costituzionale n.76 del 1983 e n.358 del 1995.

[8] La relazione finale del Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale del 2011 (pag. 14) chiarisce che In linea di principio, tassare in Irpef i contributi obbligatori sarebbe coerente con l’esenzione delle prestazioni previdenziali. Se le prestazioni sono invece tassate, non consentire l’esenzione/deduzione dei contributi obbligatori equivarrebbe a una doppia tassazione.

[9] Nel report elaborato nel 2015 dall’UPB è stato scelto di escluderle dalle misure di erosione fiscale (http://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2015/07/Audizione-21_7.pdf). Lo stesso è avvenuto nel successivo rapporto sulle spese fiscali elaborato dalla commissione Marè. Per approfondire la questione si veda l’Appendice 4 del rapporto sulle spese fiscali del 2011 a pagina 39 (http://www.mef.gov.it/primo-piano/documenti/20111229/Relazione_finale_del_gruppo_di_lavoro_sullxerosione_fiscale.pdf

[10] In particolare si fa riferimento al principio della capacità contributiva. Si intende evitare un aggravio impositivo per i redditi cumulativamente percepiti negli anni precedenti.

[11] Tecnicamente anche il cd. Bonus Renzi sarebbe da considerarsi come una rimodulazione strutturale dell’aliquota Irpef. La questione, però, è più complessa perché tale bonus non è considerato come una minore entrata fiscale – e quindi un’agevolazione che abbassa la pressione fiscale – ma come maggiore spesa nell’ambito delle prestazioni sociali. Insomma, in senso stretto non sarebbe da classificarsi come una semplice detrazione, ma la sua funzione essenziale è equiparabile ad una misura di erosione fiscale. In ogni caso, nonostante a nostro parere sarebbe da considerarsi come misura strutturale del tributo e non una deviazione dell’assetto Irpef, abbiamo deciso di lasciarlo tra le spese fiscali, al pari di quanto è stato fatto nel rapporto Marè.

[13] Massimo Baldini e Lorenzo Rizzo, Però la flat tax di Salvini piatta non è, Lavoce.info, 19 marzo 2019.

[14] Citato in Ferruccio De Bortoli, Corriere della Sera Economia, 22 luglio 2019.

Qui il Pdf:

Ocpi-Nota_spese_fiscali

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