La manovra aggiuntiva non andrebbe fatta, ma forse è inevitabile, Inpiù, 21 febbraio 2019

Ormai è pressoché certo che, in assenza di manovre, il deficit arriverà al 2,5% o più nel 2019 e supererà il 3% nel 2020. Il rapporto debito/pil crescerà, invece di ridursi di un punto, anche perché il governo non ha nessuna intenzione di dare seguito all’impegno di realizzare privatizzazioni per ben 18 miliardi. Si comincia quindi a ragionare della possibilità di una manovra aggiuntiva in corso d’anno: Giorgetti, l’autorevole sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, non ha escluso questa possibilità; interrogato sul punto ha risposto: vedremo. Va fatta dunque la manovra aggiuntiva?

La risposta sembra essere senz’altro negativa. La manovra non andrebbe fatta, perché aggraverebbe la recessione e finirebbe per peggiorare, almeno nel breve-medio termine, anche i conti pubblici. Ci sono però due controindicazioni. La prima è che lo spread potrebbe salire molto nei prossimi mesi, per via del combinato disposto di una recessione più grave del previsto, conti pubblici fuori controllo e fiducia nel sistema paese ai minimi storici. Se ciò accadesse, sarebbe necessario dare ai mercati il messaggio che la solvibilità del debito pubblico è una priorità assoluta, cosa che fino adesso non è stata fatta; anzi si è fatto il contrario, festeggiando sui balconi gli aumenti del deficit e continuando a fare vacua retorica contro un’austerità che in realtà non c’è mai stata.

La seconda considerazione è di natura strutturale. Se si vuole un welfare più generoso, che includa misure come il reddito di cittadinanza e quota 100, bisogna sapere che occorrono o aumenti delle tasse o drastiche riduzione del perimetro della spesa pubblica. A regime, nel 2021, la maggiore spesa prevista dalla legge di bilancio approvata a dicembre sarà di circa l’1% del Pil, cifra destinata a salire notevolmente se quota 100 o altre misure simili divenissero strutturali. Inoltre, per piegare la dinamica del debito pubblico, occorre riprendere il cammino interrotto verso il pareggio di bilancio, il che richiede un aggiustamento strutturale di almeno altri 2 punti di Pil. I libri di testo e anche le recenti raccomandazioni del Fondo Monetario suggeriscono di fare piani di rientro (credibili) a medio termine e non manovre di breve respiro. Il problema, parafrasando Manzoni, è che il respiro, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Per questo la manovra di breve respiro potrebbe diventare inevitabile. Questo è il dilemma che ci dilanierà nei prossimi mesi.

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