I dazi? Una politica che danneggia l’export italiano, 29 gennaio, In Cammino

“Se divento premier metto i dazi come Trump”. Assieme a Putin e al leader nazionalista ungherese Orban, nel Pantheon di Salvini non poteva mancare Donald Trump, con la sua batteria di proposte ultra-protezioniste, alcune già attuate e altre minacciate, che stanno generando preoccupazione in tutto il mondo. Come sempre, il populismo interpreta alcune disagi reali, ma dà risposte sbagliate o velleitarie.  È reale il disagio che sta creando in tanti paesi ricchi la concorrenza di paesi a basso costo del lavoro che, facendo leva sull’export, si stanno industrializzando a ritmi mai visti primi nella storia dell’umanità. È quindi reale e non può essere sottovalutato il disagio che ciò crea fra i nostri lavoratori e i nostri imprenditori nei settori colpiti dalla concorrenza di questi paesi.

La semplificazione populista

La risposta giusta a questi problemi è purtroppo complessa perché attiene all’insieme di strumenti di politica industriale, di politiche del lavoro e della formazione che devono essere messe in campo, come già in gran parte avviene, per facilitare la transizione verso produzioni a più alto valore aggiunto su cui abbiamo un solido vantaggio competitivo. In qualche caso, si può anche ricorrere ai dazi, ad esempio per difendersi da pratiche di dumping o comunque di concorrenza sleale. Quella che non va bene è la semplificazione populista: mettiamo i dazi!

Una materia europea

Non va bene innanzitutto perché, come ha subito fatto notare Carlo Calenda, la materia commerciale è interamente devoluta all’Unione Europea. Questo non è un particolare tecnico o burocratico: la competenza è dell’Unione Europea perché se l’Italia potesse mettere un dazio su una certa merce importata poniamo dalla Cina, quella merce potrebbe comunque entrare in Italia attraverso uno qualunque degli altri paesi europei.  A meno che, naturalmente, il dazio non colpisca anche le merci importate dal resto d’Europa, nel qual caso verrebbe colpito il mercato unico, uno dei pilastri su cui si regge l’Unione Europea. Dunque, nella sciagurata ipotesi che Salvini divenisse premier al più potrebbe fare delle proposte ai partner europei e vedere come la pensano e se concordano.

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Un’idea superata

In secondo luogo, l’idea che in generale i problemi si risolvano con i dazi non sta in piedi perché non mette in conto che i paesi colpiti possano a loro volta reagire e erigere barriere protezionistiche contro il nostro export.  Perché non dovrebbero farlo?  Per un’economia come la nostra che si basa sulle esportazioni ciò vorrebbe dire condannare proprio quelle aziende che hanno superato la prova del fuoco della crisi, si sono ristrutturare e ora sono delle eccellenze mondiali. Non sarebbe solo un errore, sarebbe davvero un crimine ai danni dei nostri migliori imprenditori e di milioni di donne e uomini che lavorano in quelle aziende e nel loro indotto. Per avere un’idea del danno che si produrrebbe basta considerare che nel 2016 l’Italia ha esportato merci per ben 455 miliardi di dollari, risultando così l’ottavo paese al mondo per valore dell’export. Ha invece importato per 401 miliardi, con un surplus quindi di ben 54 miliardi. Il che ci dice anche che non sta in piedi la narrazione disfattista di Salvini, purtroppo condivisa da tanti commentatori: quella di un’Italia in ginocchio, che non sa reagire e che nei consessi internazionali non sa far valere i suoi interessi. Non è vero: l’Italia sa farsi valere e ha già dimostrato di saper reagire.

Giampaolo Galli

29 gennaio, In cammino

Qui l’articolo su “In cammino”

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