Una commissione per guardare avanti – con Lorenzo Codogno, il Sole 24 Ore, 7 novembre 2017

I lavori della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche rischiano di trasformarsi in un inutile esercizio di recriminazione sul passato. Possono invece divenire un’occasione preziosa per mettere a punto una posizione nazionale sull’architettura della vigilanza, che – non va dimenticato – è da vari anni ormai interamente definita da regole europee.

Il rischio di recriminare sul passato è concreto non solo perché la campagna elettorale è ormai in pieno svolgimento, ma perché chi si pone nell’ottica dell’indagine giudiziaria fa fatica ad accettare un principio cardine di un’economia di mercato, e cioè che qualunque operatore economico deve poter fallire. Il fallimento di una banca è un evento raro, con costi economici e sociali elevatissimi, ma lo scopo delle autorità di vigilanza non può essere quello di impedire sempre e a tutti i costi i fallimenti, quantomeno non può più esserlo all’interno dell’attuale contesto europeo. Chi indaga sulle responsabilità di un fallimento ha una vocazione quasi naturale a ‘cercare l’assassino’, ossia ad andare sempre più indietro nel tempo e a chiedersi chi avrebbe potuto intervenire magari dieci anni prima. Con il senno di poi, la risposta è, quasi sempre, che il guaio avrebbe potuto essere evitato se la vigilanza fosse stata più incisiva.  Ad esempio, si dice che si sarebbero potuti prendere provvedimenti drastici sulle banche venete già nei primi anni 2000, quando emersero le prime anomalie. Così facendo però la Banca d’Italia sarebbe andata ben oltre i propri poteri, con annesse conseguenze anche penali, dal momento che allora le due banche erano in buona salute. Soprattutto, ragionando in questo modo, si sarebbe fatto un danno grave a un sistema che, pur con tanti limiti, deve essere incentrato sulla responsabilità delle singole aziende che operano nel mercato. Molte delle denunce che sono state fatte in questi giorni finiscono per configurare un rafforzamento dei poteri della vigilanza tanto rilevante da rappresentare di fatto una sorta di surrettizia nazionalizzazione delle banche. Le responsabilità delle singole imprese bancarie devono invece essere ben individuate e non possono essere confuse con quelle delle autorità di controllo. La linea di demarcazione deve essere molto netta, altrimenti la responsabilità è di tutti e di nessuno.

Ad esempio, la fissazione dei prezzi delle azioni delle banche popolari non quotate spetta in base al codice civile all’assemblea dei soci. L’autorità di vigilanza può contestare le procedure interne che portano alla decisione, come pure sembra essere avvenuto, ma non può imporre un prezzo diverso e neppure può avvertire i risparmiatori che il prezzo non è giusto. Il concetto di un’autorità che stabilisce quale sia il ‘giusto prezzo’ è poco sensato e comunque del tutto estraneo al funzionamento di un’economia di mercato. Altra cosa è naturalmente se tale prezzo è basato su dati di bilancio falsi, nel qual caso l’autorità può impugnare il bilancio.

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Venendo alla pars construens, le vicende di questi anni ripropongono un tema antico di coordinamento fra autorità e funzioni, che però ormai riguarda l’Europa più che l’Italia. Stabilità e trasparenza non sempre sono obiettivi facilmente coniugabili. Per utilizzare un altro esempio, in base alla legge, la Banca d’Italia, come tutte le autorità europee preposte alla stabilità, è tenuta al segreto d’ufficio su tutte le informazioni di cui entra in possesso in ragione della sua attività di vigilanza. Né si può immaginare che la Consob possa svolgere la funzione di divulgare notizie che per loro natura devono essere tenute riservate.

Una tensione ancora più forte riguarda il rapporto fra stabilità e concorrenza, per quello che riguarda gli aiuti di Stato. I guai degli ultimi due anni sono stati molto aggravati dall’aspettativa, poi delusa dal niet della Commissione Europea, che il Fondo di tutela dei depositi sarebbe stato utilizzato per salvare le quattro banche che poi furono messe in liquidazione. Quell’episodio ha minato la fiducia nell’intero sistema, mettendo in ginocchio le banche più deboli.

Tutti noi, come policy makers e come risparmiatori, dobbiamo abituarci al nuovo mondo. Cerchiamo però di cogliere l’occasione della Commissione parlamentare per mettere a punto una posizione che, come sistema paese, si possa portare all’attenzione dei partners europei per contribuire costruttivamente a future revisioni delle regole per renderle più eque ed efficienti, e più attente alle specificità italiane.

Non sembra invece molto utile recriminare sul passato ormai lontano e chiedersi se fossero adeguati gli scambi di informazioni che intercorrevano fra la Consob e la Banca d’Italia, peraltro quando erano diversi sia i protagonisti sia verosimilmente anche le norme e i protocolli d’intesa che regolavano i rapporti fra le due istituzioni.

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