Sulle “cose” da fare non ci sono “svolte” possibili rispetto al moderno riformismo di Matteo Renzi.

Ai delegati che si riuniscono domenica nell’assemblea del PD, da economista, mi sento di dire una sola cosa: non è vero che ci sono tante diverse opzioni di politica economica fra cui si può liberamente scegliere. Certo, ci possono essere “narrazioni” diverse, certo si possono fare le riforme più o meno velocemente, certo si può essere più o meno empatici rispetto alle aree di disagio sociale e più o meno attenti a costruire il consenso. Su queste questioni ci sono margini per discutere, anche per contrastare al meglio le tentazioni populiste che mettono a rischio la nostra democrazia. Ma quando dalla “politica” si passa a quelle che Nino Andreatta chiamava “le politiche”, ossia le cose da fare, allora i margini di manovra diventano stretti.
Nelle linee di fondo, non ci sono “svolte” possibili rispetto al moderno riformismo che abbiamo praticato con il governo di Matteo Renzi.
La questione decisiva è quella del bilancio pubblico, e c’è poco da scialare. Le risorse sono scarse e tali rimarranno per molti anni a venire, fino a quando non saremo riusciti a ridurre drasticamente il nostro esorbitante debito pubblico. Il tema qui è a quale velocità dovremo ridurre il disavanzo. Con il governo Renzi lo abbiamo diminuito, ma sfruttando i bassi tassi di interesse e facendo ricorso a cospicue dosi di entrate una tantum per le coperture. Personalmente ho approvato questa politica, ma sono consapevole che da oggi in poi dovremo essere più rigorosi – magari non tanto quanto ci chiede la Commissione Europea, ma certo più rigorosi. Dunque scordiamoci di poter fare grandi cose finanziate in disavanzo. A chi racconta delle cose meravigliose che potremmo fare per tante nobili finalità dobbiamo rispondere, con senso di responsabilità, che è molto difficile fare di più di quanto si è fatto fino ad ora, almeno per quanto riguarda le risorse; sulla qualità degli interventi invece c’è sempre spazio per migliorare. Anche sul fronte fiscale gli spazi sono davvero risicati. Non si può certo proporre di tornare al vecchio metodo di aumentare le tasse per far fronte a esigenze sempre crescenti di spesa, perché la pressione fiscale è intollerabilmente alta sia sulle famiglie che sulle imprese. È anche difficile immaginare che si possano ulteriormente ridurre le tasse, dopo i tagli realizzati dal governo Renzi,se non nella misura in cui e a mano a mano che si riesce a recuperare gettito dal (sacrosanto e necessario) contrasto all’evasione.  Sul fronte della spesa, non credo che ci siano margini ampi per ottenere risparmi ulteriori che siano socialmente e politicamente sostenibili. In ogni caso i risparmi che riusciremo a realizzare dovranno essere devoluti prioritariamente alla riduzione del disavanzo.

Parimenti non credo che ci siano molte opzioni sul fronte delle riforme. Si può correggere il tiro, certo. Ma, nelle linee di fondo, la strada è quella delle riforme strutturali. E questo non perché “ce lo chiede l’Europa” o perché cosi vogliano i mercati, ma semplicemente perché solo con le riforme strutturali l’Italia può ritrovare il cammino della crescita e rendere così sostenibili il proprio welfare e il debito pubblico. Possiamo tornare indietro su alcuni terreni, come propongono di fare i referendum della CGIL, ma questo non farebbe altro che aggravare i problemi, riducendo la crescita e aumentando la disoccupazione. Nessun governo può ragionevolmente proporsi un programma tanto autolesionista. Dovremo continuare a porci il problema di come colmare gli straordinari e inaccettabili ritardi dell’Italia in quattro ambiti cruciali della società: la giustizia, la pubblica amministrazione, la scuola e la ricerca (pubblica e privata). Su alcuni di questi ci abbiamo provato, alcuni risultati si cominciano a vedere, ma ancora non ci siamo. Dovremo riprendere in mano il tema della concorrenza e delle liberalizzazioni sui cui in questi anni siamo andati un po’ a rilento. Per il sostegno agli investimenti privati e all’innovazione mi pare che non ci siano in giro idee più brillanti di quelli che già il governo Renzi ha attuato con il cosiddetto piano Industria 4.0. Sugli investimenti pubblici il problema è come spendere le cospicue risorse che ci mette a disposizione l’Europa e quelle che abbiamo stanziato nella legge di bilancio appena approvata. Non dite che “bisogna ripartire dagli investimenti pubblici”. Lo sappiamo e sappiamo anche che le risorse sono state stanziate: dobbiamo imparare a spendere meglio e più velocemente.

Buona assemblea nazionale a tutti, e buon congresso.

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