16 dicembre 2014. Quando FI era ancora a favore della riforma

Intervento dell’On. Sisto di Forza Italia, come relatore di maggioranza.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, presidente della Commissione Affari costituzionali, deputato Francesco Paolo Sisto.

FRANCESCO PAOLO SISTORelatore per la maggioranza. Signor Presidente, non posso negare che prendere la parola per relazionare all’Aula in ordine alla riforma della Costituzione lo intendo sostanzialmente come un gesto di grande umiltà, perché nel riformare la Costituzione bisogna essere cauti, bisogna essere rispettosi, bisogna in qualche maniera in punta di piedi non pensare all’attualità ma pensare essenzialmente ad una struttura capace, nella sua forte elasticità, di garantire le fondamenta della nostra democrazia parlamentare. Questo è accaduto in Commissione con un lavoro che non esito a definire ispirato, perché maggioranza e opposizione in qualche modo si sono fuse in uno sforzo sinergico di raggiungimento di un obiettivo che va al di sopra delle appartenenze e posso dire che è andato al di sopra delle appartenenze.
Bisogna avere una sorta di rispetto di quello che è stato il lavoro dei padri costituenti, e considerarsi – è questo il mio pensiero, Presidente – con quella chiave di umiltà che per noi costituisce un punto di grande rilevanza nell’affrontare questa normativa, considerarsi dei «figli costituenti»: come se noi dovessimo soltanto raccogliere il testimone dello straordinario lavoro dell’Assemblea costituente, e cercare di rendere questa Costituzione Pag. 63 quanto è più possibile vicina ai fenomeni e quanto è più possibile vicina a quelli che sono stati i fili conduttori che hanno caratterizzato quello straordinario lavoro che è culminato nella Costituzione del 1947-48.
Presidente, noi depositiamo la relazione con tutti i contenuti che consentiranno poi di avere una analitica ricostruzione di quelli che sono stati i lavori in Commissione. Mi tocca però necessariamente chiarire la ratio di quello che abbiamo cercato di realizzare partendo dal testo del Senato, offrendo alla Camera dei deputati un contributo che credo non si possa definire assolutamente improduttivo.
Il dato più rilevante è che dal sistema del bicameralismo perfetto si è passati a quello che ho definito «monocameralismo partecipato». Questo è un passaggio non secondario nell’intera struttura della riforma, perché è evidente che la ragione di questo passaggio è dovuta alla complessità che l’era moderna ha portato rispetto ai fenomeni e ai meccanismi parlamentari. Sembra strano, ma la maggiore complessità esige una maggiore semplificazione. Cioè, è questa apparente antinomia fra il moltiplicarsi delle leggi, dei fenomeni, della realtà, della incontrollabilità delle estrinsecazioni quotidiane di quello che ci succede intorno, che provoca nell’ambito del bicameralismo la necessità di una maggiore efficienza, che si manifesta con una semplificazione; e questo accade nel passaggio da un bicameralismo che rimane perfetto per talune materie, perché in qualche modo diventa un bicameralismo di garanzia, con una progressione verso una sempre maggiore rilevanza della Camera come unico organismo politico, della fiducia politica, e che dà alla Camera dei deputati una funzione di maggiore efficienza. Ecco, una riforma costituzionale maggiormente efficiente e in perfetta sintonia e in continuità storica con quella che era la volontà dei padri costituenti: il tentativo di dare efficienza senza neanche per un attimo dimenticare la forza straordinaria della democrazia parlamentare, mi sembra che costituisca il mantra di quello che noi abbiamo cercato di realizzare.
E in questa straordinaria continuità fra incremento della complessità, della moltiplicazione dei fenomeni e delle leggi, con un processo di semplificazione che vinca in nome dell’efficienza la necessità di un Parlamento più pronto e con risposte più certe nei confronti dei cittadini, io credo che noi abbiamo cercato di definire la Costituzione come una casa. Una casa, Presidente, però solida, ben distribuita, ben definita, ma con le finestre sempre aperte e chiuse a seconda di quello che il legislatore decide di fare; cioè una casa in cui sostanzialmente sia possibile per il legislatore cambiare l’aria costantemente, e raggiungere l’obiettivo di una flessibilità inscritta però in un solido meccanismo che rivendichi la sua coerenza con quelli che sono i principi fondamentali.
E in questo ambito di una capacità del legislatore di adeguare all’interno della Costituzione i tempi a quello che è invece il presupposto assolutamente irrinunciabile della democrazia parlamentare, noi abbiamo cercato, Presidente, superando il bicameralismo perfetto, di disegnare alcuni istituti come quello del voto a data certa: molto sofferta questa discussione, ma sostanzialmente ha raggiunto un obiettivo certamente soddisfacente, ma che l’Aula potrà ulteriormente migliorare, se riterrà. Perché attenzione, non si dimentichi che la Commissione ha una funzione istruttoria, ma poi è sempre l’Aula quella che deve dire la sua in ordine alla definitività delle statuizioni.
Abbiamo introdotto il giudizio preventivo di legittimità costituzionale. Lo abbiamo discusso ampiamente per la legge elettorale della Camera dei deputati e per il Senato. Abbiamo ripristinato la seduta comune per l’elezione dei cinque giudici della Corte costituzionale di nomina parlamentare. Abbiamo riscritto il procedimento legislativo, abbiamo anche modificato le maggioranze per l’elezione del Presidente della Repubblica e abbiamo lavorato attentamente sul Titolo V, parte II, della Costituzione, eliminando la competenza concorrente, rafforzando la competenza esclusiva statale e dando certezza a quella regionale, per esempio inserendoPag. 64nella competenza esclusiva dello Stato elementi come la sicurezza del lavoro e la sicurezza alimentare. Ampia attenzione è stata dedicata alla clausola di supremazia, ma di questo i lavori della Commissione offrono una sufficiente, direi, testimonianza di iperattenzione da parte di tutti i gruppi.
Ma da presidente della Commissione non posso, illustre Presidente, che rammentare i dati del nostro lavoro che, pur consci di un compito così alto e così difficile, hanno visto un lavoro che è partito l’11 settembre fino a concludersi sabato notte, 13 dicembre, con il mandato ai relatori. Abbiamo svolto 13 sedute preliminari. L’8 ottobre, con numerosi e ampi interventi nella discussione, abbiamo deliberato un’indagine conoscitiva, in cui abbiamo ascoltato 50 soggetti fra esperti e rappresentanti di varie istituzioni. Il 16 ottobre abbiamo chiesto al Governo alcune valutazioni che ci sono state fornite il 28 ottobre e, deliberato il testo base, si è passati all’attività sugli emendamenti. Ci sono stati 1.176 emendamenti, con diversa distribuzione fra i gruppi, ma niente che andasse al di là del legittimo esercizio del diritto di ciascun gruppo di avere delle perplessità da sciogliere, dei nodi da chiarire nell’ambito della Commissione. Io lo dico subito: grande plauso al lavoro, ripeto, di tutti i gruppi, anche quelli che erano più critici nei confronti della riforma della Costituzione.
L’esame degli emendamenti è iniziato il 26 novembre nella loro fase di discussione, occupando 14 sedute, Presidente, con 51 ore, 1.000 interventi da parte di deputati, al di là degli interventi dei relatori e del Governo. Non abbiamo applicato, non ho applicato, come presidente di Commissione, nessun criterio restrittivo sui tempi di esame e neanche sul numero degli emendamenti da sottoporre a votazione. Ecco perché parlavo di un lavoro ispirato, di cui tutti i gruppi hanno compreso la rilevanza e anche strumenti importanti che possono essere legittimamente esercitati, come quelli dediti all’ostruzionismo, non hanno trovato, neanche per un attimo, anzi, albergo nei nostri lavori, che sono stati, invece, teatro di importanti interventi a chiarimento, costruttivi, nonostante i numeri poi abbiano detto alla fine la loro. Certo è che nei lavori della Commissione vi sono numerosi spunti che saranno certamente utili per i lavori dell’Aula.
Dirò, Presidente, che abbiamo votato circa 550 emendamenti, con 50 emendamenti approvati. Dirò, soltanto per un fatto di parallelismo o di comparazione, che la riforma della XIV legislatura ha avuto 9 sedute e 20 ore; la XIII legislatura, pur con un’entità inferiore, diciamo così, come tipologia di riforma, 3 sedute per 5 ore e 20 minuti.
Ma se io non dessi atto che vi sono delle questioni che sono rimaste aperte e volessi dare ai lavori di Commissione un carattere eccedente, rispetto a quello che invece ricevono, non svolgerei a pieno il mio compito di presidente e relatore, perché è evidente che vi sono alcune questioni che in Aula debbono essere chiarite e approfondite. Il tema dei cinque senatori di nomina presidenziale, che ha ricevuto in Commissione un voto sull’articolo 2 che ne elimina il numero e un voto sull’articolo 3 che li ribadisce, è chiaro che è un nodo che l’Aula dovrà sciogliere, perché certo è intollerabile che nella Costituzione ci possano essere elementi di perplessità normativa, anche eventuale e anche ipotetica.
Una Costituzione deve essere asciutta, chiara, netta, precisa, deve avere affermazioni di principio e questo è stato uno dei compiti che nella Commissione – devo dire – si è cercato di mantenere, cioè evitare che si trasfondesse nella Costituzione – ed è una raccomandazione che mi permetto di rivolgere anche al lavoro di Aula – il dettaglio dell’attualità, come se la Costituzione fosse un modo, una superfetazione, per regolamentare fenomeni invece propri di leggi ordinarie.
Se qualcuno pensa di chiudere la possibilità di leggi ordinarie con una scatola troppo piccola nell’ambito della Costituzione, certo non comprende lo spirito della Carta costituzionale, che deve lasciare aperture, deve lasciare la possibilitàPag. 65al legislatore di avere spazi, anche critici per certi versi, anche la possibilità di un ripensamento su determinate questioni affidate a leggi ordinarie. Infatti, un’affermazione di principio, per quanto perentoria, non è un’affermazione chiusa, non è un’affermazione che non consente poi al legislatore ordinario di vivere quel principio nell’attualizzazione che, indispensabilmente, si accompagna ai principi costituzionalmente affermati. Quindi, sono delle affermazioni – ripeto – che l’Aula saprà tesaurizzare non come legate alla singola esigenza e alla specifica circostanza, ma sollevate dal suolo della quotidianità e della contingenza e proiettate verso un presente destinato a durare nell’ambito del nostro sistema certamente non nello spazio di un partito, nello spazio di un’esigenza, nello spazio di un Governo, nello spazio di uno spicchio istituzionale limitato e, per questo, non costituzionale.
L’ampio respiro, Presidente, si dovrà necessariamente misurare con la rappresentanza della nazione da parte dei soli membri della Camera dei deputati nell’ambito del procedimento a data certa, nell’ambito dell’esigenza di rivedere ulteriormente la disciplina del procedimento legislativo, nell’ambito del giudizio preventivo di legittimità costituzionale delle leggi elettorali. Io mi sono permesso, sempre nel rispetto che si deve avere per i lavori dell’Assemblea costituente, di esaminare gli articoli di cui ci siamo occupati nella lettura che i nostri padri costituenti ne hanno dato. Ebbene, ho trovato traccia, negli interventi di Mortati, negli interventi di Terracini, negli interventi di Nobile, di Greco, di tutti coloro che hanno partecipato, di alcuni spunti estremamente rilevanti, perché, Presidente, la necessità dei rapporti fra Camera e Senato si è posta immediatamente in quella discussione così alata che tutti quanti abbiamo potuto assumere a parametro del nostro compito. Si dice chiaramente in questi lavori che Camera e Senato hanno un ruolo di priorità o di non priorità non a seconda di come vengono strutturate, ma di fatto, cioè nella parità della genesi politica si assumeva il rischio della prevalenza dell’una o dell’altro nella comunanza – ripeto – del punto di partenza e di origine. Ma – e lo si dice chiaramente – laddove si fosse optato per un Senato a matrice regionalistica, è evidente che la Camera sarebbe stata il ruolo prioritario della fiducia politica. Quindi, quello che noi stiamo realizzando ha radici profonde, ha radici antiche e questa intuizione, che fu esorcizzata in quegli anni, oggi riprende piede e riprende vigore in perfetta sintonia con la preoccupazione dei nostri padri.
Io penso che il nostro compito oggi sia quello di garantire l’efficienza, un’efficienza che significa speditezza, ma che non significa, almeno questo è stato il nostro spirito, Presidente, rinuncia a quei principi decisivi e fondamentali che mai possono costituire materia di transazione politica. Tenere la barra dritta su quei principi, evitare che si possa scambiare l’interesse politico del momento come un argomento per modificare la struttura della Carta costituzionale è stata una preoccupazione che noi abbiamo tenuto ben netta e ben evidente, pur con la fatica della mediazione che certamente ha caratterizzato taluni degli interventi. Allora, io credo di dover affidare all’Aula una sorta di mandato aperto.
Non si tratta di un testo chiuso, ma di un testo che la dinamica dell’Aula dovrà, necessariamente metabolizzare, dovrà necessariamente interpretare, dovrà necessariamente digerire, perché, in qualche modo, il prodotto finale possa essere un prodotto parlamentare, profondamente parlamentare. Credo che questo sia anche il leitmotiv che noi dobbiamo assolutamente rispettare, non dei diktat di maggioranza, ma una discussione che, in qualche modo, sia capace – e rimanga agli atti – di dare a questa riforma qualcosa di più dal punto di vista dei contenuti, qualcosa di meno dal punto di vista della preoccupazione politica. Abbiamo cercato, io ho provato, e forse ci siamo riusciti, insieme al collega Fiano, e ai componenti la Commissione, di realizzare una sorta di disconoscimento di paternità politica, ma un riconoscimento di paternità costituzionale e istituzionale, e se mi fate passare questoPag. 66termine, culturale, perché la cultura di questo Paese nasce dalla Costituzione, e se noi non siamo fermi su questo punto, se noi non difendiamo questi principi, indipendentemente dalle appartenenze, non saremmo stati degni figli dei costituenti.
Ritengo, Presidente, che su questi punti, quello che noi siamo stati capaci di riferire e di realizzare, costituisca un piccolo sforzo, un piccolo contributo, e sono convinto che l’Aula sarà perfettamente capace, riportandomi integralmente alla relazione – che si abbia per depositata – di cogliere. Io chiedo, davvero, che le appartenenze, in questo caso, costituiscano soltanto un presupposto per prendere la parola, giammai una linea di confine tra l’interesse politico e l’interesse, invece, a mantenere un alto profilo di carattere costituzionale e fondamentale, che – sono sicuro – sarò sarà oggetto di grande vigilanza e sorveglianza da parte di quegli stessi padri che hanno scritto uno straordinaria meravigliosa Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – La Presidenza autorizza la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della relazione, sulla base dei criteri costantemente seguiti).

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