Sostenere la crescita senza dimenticare il debito – Il Sole 24 Ore, 20 settembre 2016

Sul Sole 24 Ore del 18 settembre, Luca Ricolfi ci propone un ragionamento, o forse un paradosso, che coglie bene le difficoltà logiche, oltre che politiche, all’interno delle quali si muove l’azione del governo.

Guardando ai dati degli ultimi anni, Ricolfi argomenta che agendo per ridurre il deficit si ottiene un effetto negativo sulla crescita dell’economia che tende ad accrescere il peso del debito. Quando invece si aumenta il deficit con l’obiettivo di stimolare la crescita “il Pil non accelera abbastanza da colmare la voragine che si apre nei conti pubblici”. È in effetti opinione diffusa che le pur corpose misure espansive assunte dal governo non siano bastate a dare consistenza alla ripresa dell’economia e abbiano quindi rappresentato principalmente un onere per i conti pubblici. Altrettanto diffusa è l’opinione che i tagli alla spesa abbiano avuto un effetto negativo sull’economia, e che ciò spieghi perché, ad esempio, quest’anno con tutta probabilità mancheremo l’obiettivo di avviare l’attesa riduzione del rapporto debito/Pil.

Da questo ragionamento Ricolfi trae la conseguenza che la riduzione del rapporto debito/Pil è una fatica di Sisifo e che “nessuno pare avere un’idea praticabile… per liberare Sisifo dalla pena cui è condannato per l’eternità”. Se questa conclusione fosse condivisa dai mercati, il destino dell’Italia sarebbe segnato: i creditori possono essere anche molto pazienti, ma non sono certamente disposti ad attendere per un’eternità. Ovviamente il ragionamento di Ricolfi è (crediamo volutamente) paradossale, dal momento che ha l’illogica implicazione che il rapporto debito/Pil sarebbe destinato a peggiorare sia quando si aumenta il deficit sia quando lo si diminuisce.

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Il paradosso sparisce se si tengono distinti, com’è giusto fare, gli effetti di breve e di lungo periodo. Nel breve periodo una riduzione del deficit può portare a un peggioramento del rapporto debito/Pil per via del cattivo andamento del denominatore. Ma alla lunga le cose vanno diversamente, perché variazioni del deficit incidono sul livello del Pil e solo marginalmente sulla crescita potenziale. Questo comporta che, nel lungo periodo, vale la saggezza antica: per ridurre il rapporto debito/Pil è necessario mantenere il bilancio primario in avanzo per lunghi periodi di tempo. Chi non ne fosse convinto può leggere una ricerca della BCE (Nickel et al, 2010) che mostra come tutti gli episodi di forte riduzione del debito/Pil negli ultimi trent’anni siano stati caratterizzati da elevati avanzi primari, oltre che tagli di spesa e riforme per la crescita. Fra la metà degli anni ‘90 e l’inizio della crisi del 2007 l’Irlanda ha ridotto il rapporto debito/Pil di quasi 70 punti, la Danimarca e il Belgio di oltre 50. In Italia la riduzione è stata di 17 punti. Molti paesi hanno fatto meglio di noi, anche se ne avevano assai meno bisogno: Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Finlandia. Queste esperienze dimostrano che Sisifo ce la può fare in un tempo definito. Certo è che la situazione dell’Italia di oggi è particolarmente difficile perché la crescita è davvero stentata e perché siamo quasi in deflazione. Inoltre le importanti scadenze elettorali che ci attendono non possono lasciare indifferenti i nostri interlocutori europei, come non lasciano indifferenti i mercati, per l’ovvio motivo che se dovessero prevalere forze politiche che non condividono la necessità di ridurre il debito attraverso l’esercizio della disciplina di bilancio ogni sforzo fatto oggi in quella direzione rischierebbe di essere vano – se non addirittura controproducente. In queste circostanze è perfettamente lecito che la politica scelga la strada di sostenere la crescita con politiche di bilancio relativamente espansive o comunque più espansive di quelle che erano inizialmente previste. È bene però ricordare che il sostegno della congiuntura può essere necessario, ma in prospettiva non aiuta a ridurre il rapporto debito/Pil. Per mantenere la credibilità del nostro debito sovrano è dunque essenziale che la deviazione rispetto agli obiettivi finanza pubblica sia temporanea, giustificata dalle circostanze, e che sia compresa dai mercati come tale.

Giampaolo Galli

20-09.2016 IlSole24Ore

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