Corruzione: quegli indici poco credibili che penalizzano l’Italia – Il Sole 24 Ore, 25 maggio 2016

Nei giorni scorsi dal summit G-20 di Londra è venuto un forte appello a combattere la corruzione a livello globale. In Italia possiamo affrontare con successo questa sfida, anche perché non partiamo da zero come invece sembrerebbero suggerire alcuni degli indici comparativi più noti. Ad esempio, secondo il Corruption Perceptions Index 2015 di Transparency International, l’Italia si collocherebbe al sessantunesimo posto su 167 paesi, dietro nazioni come Emirati Arabi, Bhutan, Botswana, Rwanda, Namibia, Georgia, Arabia Saudita, Ungheria, Ghana, Romania. Questi dati sono importanti anche perché influenzano l’attrattività dell’Italia per gli investitori esteri. Ma sono dati effettivamente credibili? II problema di questo indice, come quasi tutti gli altri di cui si dispone, è che utilizza una misura della “corruzione percepita” che necessariamente riflette valutazioni soggettive e può – dunque – essere anche molto distante dalla realtà. Il ricorso alla percezione viene giustificato con l’argomento che i dati reali (ad esempio, il numero di condanne per corruzione) non consentono di fare confronti fra Paesi con regimi politici e legislazioni molto diverse. Un recente studio della Banca d’Italia (di Lucia Rizzica e Marco Tonello, novembre 2015) dimostra però come giorno per giorno, provincia per provincia, le risposte a domande sulla percezione siano fortemente influenzate da quanto e come i media riportano episodi o notizie sulla corruzione. Come evidenzia Nando Pagnoncelli nel suo ultimo libro («Dare i numeri», EDB, Bologna 2016), gli italiani hanno una percezione spesso sbagliata della realtà sociale e tendono a dilatare la portata di molti problemi. Ad esempio, sono convinti che la percentuale di chi è senza lavoro sia il 49% invece del 12% reale, credono che il peso degli stranieri sulla popolazione sia al 26%, anziché l’8%, e così via. E ciò accade nonostante un qualche effetto “calmierante” che i dati reali hanno sulle percezioni. Invece, nel caso della corruzione percepita, non ci sono dati reali che ci possano dire quanto il problema sia serio. In questo vuoto d’informazione accade che assumano dignità di notizia vere e proprie invenzioni, come quella secondo cui in Italia la corruzione varrebbe 60 miliardi, la metà del dato stimato per l’intera Europa dalla Commissione Ue. Come è stato spiegato da più autori (ad esempio, Michele Polo su Lavoce.info e Davide De Luca su ilPost.it) il dato italiano è pura fantasia.

I limiti dei sondaggi sulla percezione sono ben messi in evidenza dalle rilevazioni che misurano l’esperienza diretta che i cittadini hanno della corruzione. Ad esempio, la ricerca dell’Eurobarometro 2014 chiede se negli ultimi 12 mesi l’intervistato sia stato oggetto di richieste o aspettative di tangenti. La domanda è articolata su 15 settori che spaziano dalla sanità, al fisco, alle dogane, alle imprese private, ai politici ecc. Aggregando le risposte, Eurobarometro ottiene una stima delle “vittime della corruzione”. Con una percentuale di vittime pari al 2%, al pari di Paesi come Francia, Spagna e Olanda e meno di Irlanda e Austria e a fronte di un dato medio Ue del 4%, l’Italia risulta essere nel gruppo dei Paesi meno corrotti in Europa. Naturalmente, anche le risposte alle domande sull’esperienza diretta della corruzione possono essere distorte. Come hanno argomentato Aiello e altri su Lavoce.info, è possibile ad esempio che l’omertà cresca al crescere della corruzione. Ma la cosa interessante è che anche per Eurobarometro in Italia la percezione della corruzione è altissima. Alla domanda «quanta corruzione c’è nel tuo Paese?» il 97% degli italiani risponde «molta» o «abbastanza», a fronte del 76% della media Ue. Questo valore è superiore persino a quello della Romania, Paese nel quale le “vittime” dichiarate della corruzione sono ben il 25% della popolazione. Il coefficiente di correlazione fra corruzione percepita e percentuale di vittime è abbastanza elevato (0,5) se si includono i Paesi dell’Est, ma diventa quasi nullo al netto di questi, a conferma del fatto che le due variabili misurano fenomeni diversi. In particolare, l’Italia risulta avere una percentuale di “vittime” molto più bassa di quanto ci si potrebbe aspettare interpolando linearmente i dati sulla percezione.

Queste rilevazioni, così come quelle, analoghe, del Global Corruption Barometer di Transparency International, mettono seriamente in discussione l’immagine assolutamente deprimente che emerge dagli indici di percezione. È evidente che questi indici sono fortemente influenzati da variabili quali la libertà di informazione, l’attività dei magistrati e l’attenzione che alle indagini prestano i media e i partiti politici. Sarebbe bene prenderne atto e, soprattutto, farlo capire a chi ci osserva dall’estero e deve decidere se investire nel nostro Paese. Abbiamo tanti problemi, ma siano meno mal messi di come ci percepiamo.

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Giampaolo Galli e Antonio Misiani

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