Grecia: ne discuta il Parlamento. Le stampanti delle banche centrali non riapriranno le porte del paradiso terrestre.

Se si arriverà ad un’ipotesi di accordo con la Grecia è probabile che essa comporti un qualche costo per i paesi creditori. Ciò induce a ritenere che la decisione ultima spetti ad organismi rappresentativi  democratici, il Parlamento Europeo oppure, meglio, i parlamenti nazionali.

Per quanto disperate siano le condizioni economiche della Grecia, è difficile che Syriza possa accettare le condizioni richieste dalle “istituzioni” (ex- troika) riguardo alle riforme economiche  senza ottenere in contropartita un qualche vantaggio in termini di riduzione dell’onere del proprio debito pubblico. La contropartita può assumere tante forme diverse: taglio del valore nominale del debito, riduzione degli interessi, rinvio più o meno sine die dei pagamenti dovuti ai creditori. Potrebbe  anche coinvolgere il fondo salva stati e la Bce secondo una proposta che è stata avanzata, tra gli altri, da Nouriel Roubini.

Comunque la si configuri, l’operazione non può non avere un costo per i creditori, ossia per gli Stati con cui la Grecia è indebitata e dunque per i loro cittadini.
Il debito greco pesa o sui contribuenti greci o su quelli degli altri paesi.

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I soldi non piovono da Marte.

E neanche dalla Bce. La Bce può creare liquidità, ossia fare prestiti anche a tassi molto bassi, ma non può creare reddito dal nulla. Per creare reddito occorrono investimenti, imprese, ricerca, lavoro. Se così non fosse non si capirebbe come mai le banche centrali non abbiano già utilizzato il loro potere per risolvere non solo complicati problemi interstatuali, come quello della Grecia, ma problemi molto più semplici, come la povertà o il sostegno alle famiglie indigenti, che in varia misura si pongono in tutti i paesi avanzati, compresi i più ricchi. Se davvero le banche centrali avessero il potere di creare reddito a favore di qualcuno senza togliere a qualcun’altro non si capirebbe perchè si debba “faticare per vivere”. Checché ne dicano alcuni pessimi maestri,  le stampanti delle banche centrali non ci riapriranno le porte del paradiso terrestre.

La conclusione è ovvia. Ogni euro in più che si dà alla Grecia per alleviarne gli oneri è un euro in meno a disposizione dei cittadini dei paesi creditori. Starà poi ai governi nazionali, in relazione alle regole europee, decidere come finanziare il maggior onere. Possono aumentare il debito, tagliare la spesa pubblica, oppure, cosa che io non auspico,  aumentare le tasse.
Queste scelte hanno implicazioni molto diverse in termini di benessere e di crescita, ma nessuna di esse può annullare il dato di partenza: un maggior onere che grava sui cittadini.

Discutere della questione in Parlamento è importante perché le scelte devono essere assunte con piena consapevolezza e trasparenza. Ciò è particolarmente importante in paesi, come l’Italia, in cui c’è un ampio schieramento di opinione pubblica che critica l’eccesso di austerità che l’Europa starebbe imponendo alla Grecia, ma non c’è (quasi) nessuno che sia disposto ad aprire il portafoglio.

Occorre pretendere un minimo di coerenza nelle cose che si dicono e si fanno.

Non possiamo continuare a sentire accuse di fuoco contro l’austerità imposta dall’Europa da parte di chi, se concordassimo di ristrutturare il debito greco,  sarà pronto ad accusarci di trovare i soldi per i greci e per i migranti o, magari, per i rom e di non trovarli per gli italiani poveri, esodati o senza casa.
È troppo facile raccogliere consensi contro l’austerità europea e al tempo stesso non assumersi alcuna responsabilità riguardo alla parte che ci spetta.

È vero che molti salvataggi di paesi in via di sviluppo sono stati fatti nelle segrete stanze del FMI proprio per “non dare nell’occhio” e per evitare faticose e rischiose discussioni nel Congresso Usa. Ed è comprensibile che la riservatezza sia la via preferita dai funzionari e, a volte, anche dai ministri delle finanze.

Ma la Grecia è un caso diverso. Non è un paese in via di sviluppo, ha già ottenuto aiuti di entità senza precedenti, richiederà probabilmente risorse ancora superiori. Se si giungerà ad una ipotesi di accordo, governi politici sapranno argomentare che essa è migliore delle alternative possibili, quali il default o l’uscita dall’euro, sia per i greci sia per i paesi creditori.

È naturalmente possibile che in una discussione parlamentare  qualche paese europeo rifiuti l’accordo.  Vorrà dire che le trattative dovranno ricominciare, tenendo conto di quel risultato. Non ce ne dobbiamo preoccupare, fa parte del gioco democratico. Si capirà che su questa questione non basta il voto del popolo greco. Ci vuole anche il voto e il consenso democratico degli altri popoli coinvolti. E forse al variopinto popolo delle varie brigate kalimera passerà la voglia di dire che dobbiamo fare come Tsipras.

L’unica cosa di cui dobbiamo davvero preoccuparci è che le decisioni vengano prese senza la necessaria trasparenza. Perché in quel caso i populisti di ogni risma ci accuseranno di aver aiutato i greci invece degli italiani e di averlo fatto in segreto evitando il confronto con l’opinione pubblica. Ne soffrirebbe ulteriormente l’immagine dell’Europa e di tutti coloro che credono nel progetto europeo.

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