Il debito pubblico è sostenibile. Bisogna fare le riforme.

Intervento  sul

“Documento di Economia e

Finanza 2015″

23 aprile 2015

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PRESIDENTE.  È iscritto a parlare il deputato Giampaolo Galli. Ne ha facoltà.

  GIAMPAOLO GALLI. Signora Presidente, il Documento di economia e finanza delinea un sentiero stretto fra esigenze diverse. Da un lato, vi è l’esigenza di rilanciare la crescita in tempi brevi, sfruttando le condizioni favorevoli del quadro internazionale, dall’altro vi è l’esigenza altrettanto cogente di contenere e piegare la dinamica del debito pubblico.

Si tratta appunto di un sentiero stretto, di un equilibrio difficile, rispetto al quale non ci sono bacchette magiche o ricette semplicistiche.

La scelta di fondo fatta dal Governo, che noi condividiamo, è quella di attenersi alle regole europee, utilizzando i margini di flessibilità consentiti nella misura massima possibile. Alcuni dicono che possiamo fare a meno di quelle regole – l’abbiamo sentito anche questa mattina – o di violarle. Su questo mi sentirei di dire e di fare una considerazione: si può essere d’accordo o non d’accordo con quelle regole – che peraltro sono state approvate da tutti i Governi e i Parlamenti dei Paesi membri –, ma allora è necessario essere chiari sulle conseguenze di scelte alternative. Ci si deve chiedere ovviamente cosa succederebbe al nostro debito pubblico e ai nostri tassi di interesse senza l’ombrello europeo: temo che sarebbe un problema serio, specie alla luce di quello che succede del mondo, nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, nel Nord Africa, in Ucraina, in Grecia. Ma sul piano politico ci si deve chiedere se oggi sarebbe un corso un Consiglio europeo in cui noi crediamo solidarietà all’Europa sui temi del Mediterraneo e dell’immigrazione. Avremmo lo stesso ascolto, grande o piccolo che sia, se fossimo un Paese che mette a rischio le regole a cui altri Paesi evidentemente tengono tanto, altrimenti non ci sarebbero ?
Mi permetto di dubitarne. Quindi noi pensiamo che dobbiamo attenerci alle regole europee, ma dobbiamo fare anche un uso intelligente dei margini di flessibilità e questo comporta che le riforme cui ci siamo impegnati vengano fatte. Alcune le abbiamo in gran parte già realizzate: Jobs Act, riduzione del costo del lavoro, componente IRAP, decontribuzione, finanziate prevalentemente con riduzioni di spesa. Altre sono avviate: le riforme istituzionali, la lotta alla corruzione, la riforma della PA, fisco e lotta all’evasione, giustizia, scuola, concorrenza. Occorre grande determinazione per proseguire sulla strada delle riforme.
Non è vero, comunque io non concordo con ciò che abbiamo sentito, che questo DEF, proprio in quanto fedele alle regole europee delinei un percorso restrittivo, di ulteriore austerità. Non è vero perché nel DEF il bilancio pubblico muove verso il pareggio, che viene raggiunto nel 2018, non perché si facciano politiche restrittive, ma perché si riducono i tassi di interesse e vi è la ripresa del PIL. Ciò significa che l’orientamento della politica di bilancio non è restrittivo. Questo ci dice, peraltro, l’Ufficio parlamentare di bilancio quando spiega che il miglioramento del disavanzo complessivo è dovuto a fattori esogeni rispetto alla politica di bilancio, ossia ci dice che non vi è una stretta di bilancio. Al contrario, credo si possa tranquillamente affermare che l’orientamento complessivo della politica economica è di sostegno all’attività. Uno, perché pieghiamo la dinamica del debito, è questo l’elemento chiave, assolutamente decisivo per recuperare la fiducia di chi consuma e investe in questo Paese. Due, perché riduciamo la pressione fiscale, calcolata opportunamente, ossia tenendo conto degli 80 euro, che vanno a regime nel 2015, e del fatto che vengono disinnescate, questo è l’impegno chiaro, scritto, evidente, nel DEF, le clausole di salvaguardia. Con la pressione fiscale eravamo al 43,4 per cento nel 2013, siamo scesi al 43,1 per cento nel 2014, scendiamo al 42,1 nel 2017 e sotto il 42 per cento negli anni successivi. Si tratta di una riduzione molto, molto significativa. Tre, dopo anni di riduzione si programma una ripresa degli investimenti pubblici, di cui il Paese ha certamente un grande bisogno. Infine, l’orientamento delle politiche è espansivo perché facciamo le riforme che servono a semplificare la vita a chi vuole lavorare e fare impresa in questo Paese. Ovviamente, per ridurre il peso della pressione fiscale dobbiamo ridurre il peso della spesa pubblica, la spesa corrente primaria scende in misura considerevole fra il 2014 ed il 2018, si tratta di quasi tre punti percentuali, una riduzione anch’essa molto significativa.
Alcuni commentatori hanno detto che la riduzione è insufficiente, altri, i più, fanno notare che i tagli alla spesa sono rilevanti per due motivi. Primo, ci sono importanti componenti della spesa che non sono comprimibili e, anzi, hanno una tendenza non evitabile al rialzo: le pensioni, su cui pesa la demografia, oltre all’esigenza di affrontare il problema degli esodati, gli ammortizzatori sociali, che dipendono dall’andamento dell’occupazione e su cui l’Italia è piuttosto indietro rispetto all’Europa. Due, non è vero ciò che spesso si dice, ossia che la spesa non è stata controllata negli ultimi anni. Si possono criticare i tagli, si può criticare come essi sono stati fatti, il fatto che siano stati lineari, ma è sbagliata la rappresentazione, mi sia consentito, un po’ da talk show di un Paese capace solo di promettere riduzioni di spesa e mai capace di farle. Non è così, riduzione anche assai dolorose sono state fatte già fatte da tutti i governi degli ultimi anni. Proprio per questo ci troviamo oggi di fronte alle difficoltà emerse nel dibattito di questi giorni e che riguardano molti punti: gli enti locali, le province, le politiche del welfare e di assistenza, gli investimenti pubblici, che riprendono, come dicevo, nel DEF, ma forse non nella misura che sarebbe necessaria alle esigenze di questo Paese.
A queste difficoltà cerchiamo di ovviare con un forte rilancio della spending review, sappiamo però che si tratta di una sfida difficile, irta di spine.

  Una sfida che affrontiamo nella serena consapevolezza che non ci sono alternative credibili perché non possiamo rinunciare a fermare la dinamica del debito e non possiamo aumentare le tasse. Infine c’è chi dice – mi avvio a concludere – che sì, è vero, dati i vincoli europei non possiamo fare altro, ma quei vincoli e l’insieme delle politiche messe in atto dall’Europa ci portano lungo un sentiero che sarebbe – cito – tecnicamente insostenibile, ossia un sentiero che porterebbe secondo alcuni o alla rottura dell’euro oppure al default del debito pubblico. Da quando ho l’onore di prendere la parola in quest’Aula cerco di argomentare che entrambe queste prospettive non solo non sono una soluzione dei nostri problemi economici e soprattutto sociali, ma ne provocherebbero un drammatico aggravamento. Oggi vorrei dire una cosa diversa, vorrei dire che quelle prospettive drammatiche che da alcuni vengono paventate sono assolutamente evitabili, non l’avrei detto forse con la stessa convinzione due anni fa, un anno e mezzo fa, oggi lo dico con grande convinzione: non siamo in una condizione insostenibile, siamo su un crinale sottile, come uno scalatore che può mettere il piede nel punto giusto del crinale ed arrivare tranquillamente in vetta oppure può mettere il piede nel punto sbagliato e farsi molto male. Il crinale è sottile, il sentiero è stretto, ma oggi ci sono le condizioni nazionali e internazionali per farcela, per uscire dalla recessione e ricominciare a crescere. Tutto dipende dalla capacità che avremo di fare le riforme che abbiamo concordato, fra queste – corre l’obbligo di ricordarlo – ci sono anche le riforme istituzionali che sono presenti nel PNR perché la disfunzionalità della nostra democrazia è evidente a tutti gli osservatori nazionali o internazionali.

Ovviamente la stabilità di Governo, di un Governo che non sta fermo ma che ha un ambizioso programma di riforma è una condizione necessaria perché si consolidi la fiducia nell’economia italiana e si realizzi lo scenario delineato nel DEF, ad altri scenari non vorremmo neanche pensare. Sono certo che tutti noi, collettivamente, sapremo essere all’altezza del compito.

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