Galli: “Solo così si può rilanciare l’occupazione”. La Stampa – 19/01/2013

LA STAMPA

19.01.2013

“Nel Breve periodo l’unica via è far ripartire le opere pubbliche”

Galli: “Solo così si può rilanciare l’occupazione”.

Intervista a Giampaolo Galli di Stefano Lepri

La recessione si allunga, il lavoro manca. Che ha da consigliare un ex direttore generale della Confindustria che si candida nel Partito democratico?

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«Nel breve periodo l’unica cosa che possiamo fare – risponde Giampaolo Galli – è rilanciare gli investimenti in opere pubbliche, anche piccole, sfruttando i margini che si possono trovare senza turbare gli equilibri della finanza pubblica. Guardando oltre, direi che la madre di tutte le riforme è quella dell’amministrazione pubblica: anche, appunto, sotto il profilo dell’efficienza economica del Paese. Dobbiamo rifare uno Stato che ha procedure di funzionamento anomale, purtroppo uniche in Europa. Questo non è soltanto un costo grave per le aziende e per tutti i cittadini. E’ un freno all’innovazione e allo sviluppo. Pensiamo a una impresa che vuole spingersi in un settore di attività diverso, oppure a una nuova impresa o a un investitore estero: hanno difficoltà enormi a districarsi fra norme e apparati burocratici che non conoscono. E’ un limite alla mobilità fra settori e alla concorrenza forse più grave di quelli su cui indaga l’Autorità Antitrust».

Da vent’anni tutti i governi ci promettono la semplificazione burocratica. Finora di effetti ne abbiamo visti pochi.

«Dal punto di vista normativo è stato fatto moltissimo, ma i risultati sono modesti. Restano le sabbie mobili di tempi di decisione troppo lunghi e responsabilità imprecise. Prendiamo degli esperti di altri Paesi, come la Gran Bretagna o la Germania, portiamoli qui e vediamo che cosa ci suggeriscono. Ad esempio: da loro come si fa quando una impresa vuole ampliare un capannone? Bisogna rivedere tutto il funzionamento delle amministrazioni, passo per passo; in alcuni casi occorreranno grandi sforzi di immaginazione per costruire soluzioni del tutto diverse da quelle attuali».

Questo programma avrebbe potuto portarla anche nella lista Monti. Come mai ha scelto il Pd?

«Trovo nel Partito democratico, oltre a un solido ancoraggio europeo che è essenziale, una elevata corrispondenza tra le cose che si dicono e le cose che si fanno, e tra le cose che si dicono e quelle che sono vere. Chi guiderà l’Italia dovrà prendere decisioni difficili, che avranno successo solo se saranno percepite come eque: occorre un partito con un forte radicamento. E poi naturalmente apprezzo che Pierluigi Bersani si proponga di governare con uno schieramento ampio, aprendo al centro».

Al sodo, la principale differenza tra Bersani e Monti riguarda il lavoro. Si può ridare competitività all’Italia senza erodere i salari?

«Quando parliamo di un costo del lavoro per unità di prodotto che è salito del 30% rispetto alla Germania da quando c’è l’euro, dobbiamo sapere che questo dato sintetizza tutte le inefficienze del sistema-Paese, comprese quelle del settore pubblico. La componente della produttività che dipende dall’organizzazione del lavoro può essere affrontata solo a livello aziendale, come è stato fatto in Germania negli anni Duemila in un clima cooperativo tra imprese e sindacati; e secondo me si può farlo sulla strada segnata dall’accordo che la Confindustria firmò con tutti i sindacati, Cgil compresa, il 28 giugno 2011. Lì ci sono due principi di fondo: si può meglio cooperare se ci si conta – cioè se si misura quanto pesano i diversi sindacati – e se i diritti e i doveri sono uguali per tutti. Ovvero, nessun sindacato deve essere escluso, si decide a maggioranza, ma poi tutti devono rispettare le decisioni della maggioranza».

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