Manovra fra crescita e aggiustamento: le (troppe) richieste di spesa fatte a Padoan – con Lorenzo Codogno, il Sole 24 Ore, 11 ottobre 2017

Come c’era da aspettarsi, sul Ministro dell’Economia piovono da ogni parte richieste di maggiori spese. Spesso le richieste hanno una loro intrinseca giustificazione, ma non fanno i conti con la realtà della finanza pubblica italiana. L’aggiustamento dei conti che è stato previsto dal governo è il minimo indispensabile nella condizione data. Questo punto è stato ben messo in luce dalla Banca d’Italia nel corso delle audizioni che si sono tenute al Senato il 3 ottobre scorso. Stando alle cifre ufficiali, ossia a quelle contenute nella Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (DEF), il miglioramento del saldo di finanza pubblica previsto per il 2018, pari a 0,5 punti percentuali di Pil – dal 2,1% di quest’anno all’1,6% del 2018 – è interamente dovuto all’evoluzione del ciclo economico e all’ulteriore riduzione della spesa per interessi dovuta alla politica espansiva della BCE.

L’indicatore sintetico migliore per valutare l’orientamento della politica di bilancio, l’avanzo primario strutturale (ossia il bilancio al netto degli interessi, degli effetti ciclici e delle misure una tantum), sempre secondo le valutazioni del governo, si colloca a 2,6% del Pil nel 2017 e rimarrebbe a questo livello anche nel 2018. Quindi la politica di bilancio impostata dal governo è neutrale sia in termini di stimoli sulla domanda interna sia dal punto di vista del cammino verso l’aggiustamento della finanza pubblica. Di qui l’affermazione della Banca d’Italia, che “la restrizione di bilancio programmata nel DEF dello scorso aprile verrebbe rinviata agli anni successivi”. In effetti, è proprio così. Tutto l’aggiustamento è a carico del biennio 2019-2020, quando l’avanzo primario strutturale dovrà salire dal 2,6% al 2,9% nel 2019 e poi ancora al 3,3% nel 2020.

È cruciale il fatto, anch’esso notato nell’audizione della Banca d’Italia, che negli ultimi anni l’avanzo strutturale ha continuato a ridursi: sempre nelle valutazioni ufficiali, esso era pari al 4,0% del Pil nel 2015 ed è sceso al 3,0% nel 2016 e al 2,6% nel 2017. Quindi il 2018 sarebbe un anno di transizione, dopo di che inizierebbe una faticosa marcia per recuperare le posizioni perdute negli ultimi anni e procedere poi verso un avanzo primario fra il 3 e il 4%, in maniera da rendere possibile e duratura la discesa del rapporto debito/Pil.

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Queste valutazioni non dovrebbero essere inficiate dai dubbi metodologici che circondano la misurazione dell’output gap e a cascata dei saldi di bilancio corretti per gli effetti del ciclo. Le differenze fra le diverse metodologie adottate riguardano infatti i livelli di queste variabili, ma sono minime quando si guarda alle variazioni da un anno all’altro. È quindi improbabile che con una diversa metodologia si ottengano risultati significativamente diversi riguardo alla conclusione di fondo che l’avanzo strutturale è peggiorato negli anni scorsi e rimarrebbe invariato nel 2018. Al riguardo, non deve indurre in errore il recente rapporto del Fondo Monetario per il G20 che non è aggiornato e, in particolare, non tiene conto dello slittamento degli obiettivi disposto con la Nota di Aggiornamento. Peraltro, basta considerare che dei 3 decimali di punto in cui si dovrebbe sostanziare la correzione strutturale complessiva nel 2018, ben 2 ci sono ‘regalati’ dalla riduzione della spesa per interessi. Quindi, al più, la materia del contendere si riduce a un punto decimale.

Questi sono i fatti. I giudizi possono anche essere positivi se si ritiene che sia stato giusto negli anni passati e lo sia ancora dare la priorità all’obiettivo del sostegno alla crescita economica, dopo la devastante recessione che l’Italia ha sperimentato fra il 2008 e il 2013. Ciò che non si può dire è che dal 2013 ci sia stata ancora austerità o che il governo attuale abbia un approccio ‘ragionieristico’, insensibile ai temi della crescita e della coesione sociale. Né si può dire, come pure è stato detto, che non siano stati utilizzati appieno i margini di flessibilità consentiti dalle regole europee e anche oltre. Infine, e soprattutto, non si può negare che il cammino si fa impervio: chiunque avrà l’onere di governare dall’anno prossimo dovrà accelerare la correzione dei conti pubblici. Basti considerare che nello scenario di base del governo il debito pubblico non scenderebbe sotto il 100% del Pil neanche nel 2026, l’ultimo anno della simulazione DEF. E ciò malgrado l’avanzo primario venga mantenuto al 3,3% dal 2020 e il differenziale fra tasso di crescita e tasso di interesse a breve si stabilizzi attorno allo zero.

Fa bene dunque il ministro Padoan a resistere alle tante richieste di questi giorni. Non si capisce peraltro con quale logica e senso di responsabilità si possa criticare l’attuale politica di bilancio sulla base di un presunto eccesso di austerità.

lorenzo.codogno@lc-ma.com

@giampaologalli

Il Sole 24Ore, 11 ottobre 2017

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