Corruzione: difficile misurarla ma l’Italia è meno corrotta di quanto si pensa – con Antonio Misiani, FIRSTonline, 3 giugno 2016

La corruzione fra percezione e realtà: una risposta alle osservazioni critiche della tesi controcorrente da noi sostenuta secondo cui “gli italiani sono comparativamente meno corrotti di quanto si percepiscano” – Le ricerche del professor Picci dell’Università di Bologna – Al crescere del Pil la corruzione tende a diminuire: Italia al 19simo posto su 152 dei Paesi meno corrotti.

 

In vari articoli (sintetizzati e documentati nel post di FIRSTonline che si trova qui) abbiamo sostenuto che gli indicatori della corruzione solitamente utilizzati riguardano la percezione del fenomeno, e ne sopravvalutano la gravità in Italia nel confronto con altri paesi. In sostanza gli italiani sono comparativamente meno corrotti di quanto si percepiscano. Si tratta di una tesi controcorrente e non ci stupisce che, assieme a qualche apprezzamento, siano arrivate reazioni critiche o anche solo d’incredulità. Per tutte ci sembra utile fare riferimento a quelle espresse in questo post della senatrice Lucrezia Ricchiuti che ci rimprovera di sottovalutare il problema della corruzione e, più specificamente, di aver trascurato vari lavori scientifici sul tema. Rispondiamo che quasi tutte le fonti citate sono racconti di episodi importanti di corruzione accaduti in Italia e in altri Paesi – o opinioni di autorevoli magistrati. Non abbiamo preso in considerazione queste fonti perché, se esistesse una narrativa convincente e confrontabile fra paesi (ad es. numero delle condanne per corruzione o l’ammontare delle tangenti pagate), queste sarebbero già state utilizzate dalle organizzazioni internazionali che studiano il fenomeno, come Transparency, Banca Mondiale, Ocse ecc. Il motivo per cui si ricorre ai sondaggi è che si ritiene che i confronti sulla base di dati oggettivi non siano possibili.

Tra quelli segnalati dalla sen. Ricchiuti c’è un tuttavia un lavoro in particolare sul quale riteniamo utile soffermarci, quello del Prof. Lucio Picci dell’Università di Bologna. Secondo la senatrice, questo lavoro “misurerebbe – citiamo – addirittura in 586 miliardi all’anno il differenziale tra i costi della corruzione in Italia e quelli in Germania”. Nel post della senatrice, questa affermazione non ha nessun’altra qualificazione e induce il lettore a pensare che il riferimento sia al costo della corruzione per la PA. Naturalmente questo è impossibile, dato che la spesa pubblica totale è di 826 miliardi, compresi interessi e stipendi. Le due aree di spesa esposte alla corruzione (investimenti pubblici e acquisti di beni e servizi) sommano a circa 200 miliardi. È ovvio quindi – ma andrebbe chiarito! – che i 586 miliardi non riguardano il costo per la PA: leggendo l’articolo del prof. Picci, infatti, si scopre che si parla di effetti distorsivi della corruzione sul Pil, che è tutt’altra cosa.

Ma anche così i conti non tornano. Infatti 586 miliardi corrispondono a un differenziale di quasi 10.000 euro pro capite. Ciò implica, come affermato ancora dallo stesso Picci, che “se il livello della corruzione in Italia fosse pari a quello tedesco, il reddito pro capite italiano passerebbe (dati 2014) da 26.600 euro a 36.300 circa, ovvero persino superiore al prodotto pro capite tedesco che nel 2014 non raggiunse per poco i 36 mila euro”.

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Questa è una cifra assolutamente fantastica. Tant’è che, da studioso serio come indubbiamente è Picci, è lui stesso a chiedersi: “È realistico questo risultato? Ovviamente è lecito dubitare”. Peraltro egli argomenta, come tutti gli studiosi del fenomeno, che misurare la corruzione è un esercizio quasi impossibile, al punto da dover affermare: “supponiamo di risolvere magicamente il problema di misurare la corruzione…”. Queste frasi chiariscono che l’autore sta facendo ciò che spesso si fa nella ricerca scientifica, ossia un esercizio metodologicamente utile, ancorché eroico e, soprattutto, ancora in cerca d’autore – ossia di qualcuno che riesca a risolvere il problema di base della misurazione. Per cercare di orientarsi nei numeri abbiamo fatto il seguente calcolo. Abbiamo applicato la stessa metodologia usata da Picci all’Afghanistan, uno dei paesi che secondo l’indice CCI (Corruption Control Indicator) della Banca Mondiale è fra i più corrotti al mondo, ottenendo un risultato ancora più sorprendente. Se la corruzione in Afghanistan scendesse ai livelli della Germania, il Pil pro capite del paese salirebbe di oltre 35mila dollari, superando di slancio non solo quello dell’Italia, ma anche quello della Germania. Un risultato analogo vale per quasi tutti i paesi in via di sviluppo dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina – il che è, quantomeno, decisamente curioso. Probabilmente, al crescere del Pil tende a diminuire la corruzione: i paesi ricchi tendono ad avere meno corruzione. Ma ciò non significa che basta combattere la corruzione per diventare ricchi. La corruzione è un ostacolo allo sviluppo economico, ma non è certamente l’unico.

Aggiungiamo che il prof. Picci fa anche riferimento ad una misura della corruzione di un certo interesse che meriterebbe di essere analizzata più a fondo. Tale misura, denominata PACI (si veda qui), utilizza i dati sui casi effettivamente verificatisi di corruzione all’estero di imprese multinazionali. In base a questa classifica (si veda la colonna 3 della tabella 4) i paesi meno corrotti sono i paesi avanzati con moderne economie di mercato: Canada, Svizzera, Australia e quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale. I più corrotti sono i paesi di Africa, Asia e America Latina. La Germania sta all’undicesimo posto e l’Italia al diciannovesimo su 152 paesi: non stiamo benissimo, dunque, ma ci troviamo più o meno al livello di paesi come la Norvegia, gli Stati Uniti e l’Austria. Stiamo sopra tutti i paesi dell’ex Europa Orientale, nonché tutti i paesi emergenti o in via di sviluppo. Ci sembra che anche questi dati tendano a confermare la nostra tesi.

Qui l’articolo originale su FIRSTonline.info.
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