L’autorevolezza del Paese e le incoerenze che lo indeboliscono

Un po’ mi stupisce osservare l’inatteso polverone sollevato dal tweet in cui ho accostato, nel poco spazio che il mezzo mette a disposizione, l’autorevolezza del nostro paese, di fronte a vicende pesanti come quella – terribile – di Giulio Regeni o dei Marò, al tema dell’autonomia energetica. Twitter, si sa, non è terra di riflessioni articolate, ma il senso di quella frasetta non era poi difficile da afferrare. Intorno al referendum del 17 aprile si è venuto a creare un curioso movimento che unisce istanze ambientaliste, un vago luddismo mascherato da progressismo e retorica della decrescita. Stupisce trovare in questo calderone anche (numerosi!) rappresentanti di una certa destra politica nostrana, che dell’autorevolezza del proprio sistema paese in ambito internazionale ha fatto sempre una bandiera. Per battere i pugni su certi tavoli su cui andrebbero battuti, per ottenere un accertamento della verità assolutamente necessario, bisogna essere autorevoli e solidi. La forza di un paese passa anche dalla propria capacità di rendersi per quanto possibile immune dai rischi geopolitici, specie in un periodo come questo e in un caso come il nostro, quello di crocevia europeo sul Mediterraneo. Per amore di coerenza, allora, da chi si auspica un’Italia forte ci si aspetterebbe una difesa strenua di ognuna di quelle quote, per quanto piccole, che ci permettono uno spicchio di autonomia energetica – e quindi politica – in più. Molti però preferiscono tentare una spallata al governo, in barba alla loro quotidiana propaganda, e pensare forse che la nostra dipendenza energetica da autocrati e sceicchi niente abbia a che vedere con la nostra forza ai tavoli internazionali. Mi auguravo con quel tweet, semplicemente, un paese più forte e più solido – come ho sempre fatto – sotto il profilo economico, sotto il profilo diplomatico, industriale e quindi energetico. Gli insulti alla mia persona passeranno,  ma l’incoerenza e l’asservimento delle idee alle contingenze politiche, quelli rimarranno. E faranno più danni di un tweet.

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