Bcc: non si faccia ideologia sulla pelle della cooperazione, Il Foglio 19/01/2016, Lettera al direttore

Nelle affermazioni di alcuni esponenti della minoranza PD colpisce come una questione essenzialmente pratica – quella del rafforzamento del credito cooperativo – sia stata trasformata in una sorta di bomba ad alto potenziale ideologico da scagliare contro il governo. L’aspetto essenziale del decreto credito è la creazione di una holding spa, che farebbe da capogruppo, i cui azionisti, nella misura non inferiore al 51%, sarebbero le attuali Bcc. Con questa riforma il lucro entra dunque nella cooperazione dalla porta principale, ossia dalla holding capogruppo. Tuttavia i puristi dell’ideologia cooperativa non si preoccupano affatto di questo punto, perché sanno che, se saltasse, molte Bcc dovrebbero essere messe in liquidazione e le famose riserve indivisibili – lungi dal servire alle future generazioni – verrebbero bruciate nelle aste giudiziarie. Si preoccupano invece, quei puristi, della way out introdotta dal governo, persino nella versione attenuata dello scorporo dell’attività bancaria dalla cooperativa: sembra che non piaccia che il lucro entri a valle della cooperativa, anziché a monte. Difficile apprezzare la differenza. Si argomenta anche che, in questi tempi di vacche magre, gli utili della banca non sarebbero sufficienti ad alimentare le altre funzioni di pubblica utilità cui dovrebbero dedicarsi le coop ex Bcc. Si può facilmente rispondere che le singole ex Bcc valuteranno di quante risorse dispongono per alimentare con la necessaria gradualità altre funzioni. L’opzione dello scorporo è stata fatta propria dall’Alleanza delle Cooperative che, pragmaticamente, sa bene che l’ipotesi iniziale di obbligare tutte le Bcc ad accorparsi sotto un’unica capogruppo sarebbe quanto mai indigesta. Oltretutto, cosa avrebbero detto gli esponenti della minoranza PD se il governo si fosse attenuto al piano iniziale, senza way out? E’ facile immaginare le veementi proteste per la violazione dell’autonomia dei territori, per la loro sottomissione a una “holding sola al comando”, per il neocentralismo di Renzi. Non bene, ma benissimo ha fatto dunque il governo a lasciare aperta una possibilità di uscita.

L’opzione dell’affrancamento delle riserve indivisibili per le Bcc che superino la soglia dei 200 milioni di patrimonio è più delicata e in Commissione Finanze alla Camera è stata opportunamente superata. Ma, anche qui, non si può non notare che sulla pelle della cooperazione si è combattuta una guerra ideologica. Nel mondo, e l’Italia non fa eccezione, le riserve indivisibili sono un’opzione finanziaria per le cooperative. Non sono un principio irrinunciabile e non fanno parte, se non appunto come opzione, della carta dei principi dell’associazione mondiale delle cooperative. In molti paesi la legge rinvia la scelta ai singoli statuti, e dunque alle decisioni sovrane e democratiche dell’assemblea dei soci, che hanno sempre la facoltà di cambiare idea.

Si può legittimamente pensarla diversamente, ma appaiono un bel po’ sopra le righe espressioni come “scippo generazionale”, “furbetti delle riserve” o “legge invotabile anche con dieci fiducie”.

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Infine, c’è il rischio che l’imposta del 20% non sia congrua e che dunque l’operazione si configuri come un aiuto di Stato? Legittimo chiedere al governo di chiarire il punto, ma per favore si discuta del tema con laicità e concretezza. E si smetta di mettere di mezzo l’ideologia e le sorti dell’esecutivo.

Il Foglio, 16 – 03 – 2016

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