L’aumento dell’Iva è una scusa. Le coperture del Pdl non reggono.

Lo ha spiegato bene Mario Sensini sul Corriere della Sera, sulla base del documento del MEF. Le coperture proposte dal Pdl non stanno in piedi. Non varrebbe neanche la pena di parlarne, dato che è a tutti evidente che Berlusconi ha fatto saltare il banco o ha minacciato di farlo per i suoi problemi personali. Ma la spiegazione ufficiale è che il Pdl non poteva continuare a sostenere un governo che aumenta le tasse. E così Enrico Letta, Fabrizio Saccomanni e il Partito Democratico si trovano sul banco degli imputati come quelli che vogliono aumentare le tasse. Un’idea strampalata dato che nessuno è masochista e chiunque si rende ben conto che le tasse sono la cosa più impopolare che esista in Italia oggi. Vediamo dunque come stanno i conti e quali coperture proponeva il Pdl.

Le risorse da reperire in corso di 2013 ammontano a quasi 6 miliardi:

– 1,6 miliardi per riportare il deficit entro il limite del 3%

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– 0,8 miliardi per finanziare la missioni di pace, la social card, la Cig in deroga e gli oneri per l’immigrazione

– 1 miliardo per evitare l’aumento dell’Iva e 2,4 miliardi per far venire meno la seconda rata dell’Imu.

In tutto 5,8 miliardi, per la cui copertura il Pdl aveva proposto misure tutte una tantum e  di fatto non realizzabili. Vediamo perché utilizzando lo schema proposto il 23  settembre da Renato Brunetta:

  1. Rivalutazione cespiti strumentali della imprese (1 miliardo). E’ una misura spesso utilizzata in passato, ma mai in corso d’anno. Dunque, il gettito potrebbe arrivare nel corso del 2014. Non sembra peraltro ragionevole far pagare un anticipo nel 2013 perché le imprese non avrebbero il tempo per fare tutti gli adempimenti che sono necessari, quali le perizie sul valore dei cespiti, il pareri dei revisori, l’approvazione in Consiglio ecc. Comunque le imprese attenderebbero la conversione in legge di un eventuale decreto prima di avviare una procedura complessa e costosa. Dunque non vi sono i tempi.
  2. Anticipazione al 2013 delle accise dovute dalle imprese a gennaio 2014 (1,5 miliardi). Questa misura non avrebbe alcun effetto sull’indebitamento netto del 2013 perché, in base alle regole europee, le imposte indirette di gennaio vengono attribuite al mese precedente.
  3. Rinvio spese di investimento programmate per il 2013 (1 miliardo). Questa misura penalizzerebbe ulteriormente il settore delle opere pubbliche, avrebbe effetti negativi sul Pil, darebbe luogo a contenziosi, si tradurrebbe in accumulo ulteriore di debiti della Pa verso le imprese. Va inoltre tenuto conto che la gran parte delle spese di investimento vengono effettuate dagli enti locali che hanno già subito una stretta molto forte.
  4. Vendita di immobili una tantum (1 miliardo anticipato dalla Cassa Depositi e Prestiti). Questa è una misura utilizzabile per far rientrare nel limite del 3%, ma la vendita del patrimonio può essere utilizzata solo per ridurre il debito o per finanziare nuovi investimenti. La legge di contabilità (196 del 2009) vieta di utilizzarla per finanziare spese correnti o sgravi fiscali.
  5. Vendita di partecipazioni azionarie (1 miliardo anticipato dalla Cassa Depositi e Prestiti). E’una misura utile, ma non ha effetti sull’indebitamento netto della Pa.
  6. Rivalutazione delle quote di partecipazione al capitale della Banca d’Italia (4 miliardi). Non ci sono i tempi tecnici, tenuto conto che si richiede anche il nulla osta della BCE, il gettito non sarebbe di 4 miliardi e sarebbe comunque molto aleatorio anche perché la rivalutazione, in base alle regole europee, non può che essere volontaria.
  7. Saldo pagamenti debiti delle PA con anticipo al 2013 di un’ulteriore tranche di 10 miliardi dei 20 previsti per il 2014, oltre a quella per 7 miliardi già prevista nel decreto Imu, attualmente in conversione al Parlamento. Non ci sono i tempi tecnici. Inoltre se si attribuisce all’operazione un effetto positivo sul gettito Iva del 2013, non può non trovare copertura il minor gettito del 2014.
  8. Sostituire 2 miliardi di pagamenti di debiti in conto capitale con altrettanti pagamenti in conto corrente che non incidono sull’indebitamento. Il problema è che questi pagamenti sono stati in gran parte già effettuati e comunque un taglio comporterebbe di rendere ancora più stringente il patto di stabilità interno.

In conclusione, si tratta di misure una tantum, di difficilissima realizzazione in tempi ristretti, che darebbero dell’Italia l’immagine di un paese che dice di voler rispettare i vincoli europei, ma di fatto li aggira. Un boomerang evidente. Bene ha fatto il Ministro Saccomanni a rifiutarsi di accettare finte coperture.

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