Intervento nella discussione della “Manovrina” (dl 120/2013 – Misure urgenti di riequilibrio della finanza pubblica nonché in materia di immigrazione) – 14/11/2013

Signor Presidente, colleghi, il provvedimento che oggi esaminiamo si propone di correggere il disavanzo per il 2013 di 1,6 miliardi di euro, ossia lo 0,1 per cento del PIL, dal 3,1 al 3 per cento. Dal punto di vista macroeconomico, ossia degli effetti sui moltiplicatori del PIL e dell’occupazione, stiamo parlando di una quantità che non esito a definire non rilevante anche se, come nella discussione tutti i colleghi hanno detto, ci possono essere rilevanti effetti su singoli comparti dell’economia e della società italiana.

Il decreto-legge pone una questione di qualche rilievo e di principio, che è stata sollevata in questa discussione, cioè perché l’Italia debba rispettare esattamente il 3 per cento e non possa sconfinare di un pur modesto 0,1 per cento. Il giudizio secondo cui questo pur modesto sconfinamento non sarebbe opportuno è la ragione che ha indotto il Governo a presentare questo decreto-legge. È l’unica ragione per cui ce ne stiamo occupando. Di questo, dunque, occorre parlare e di questo in effetti hanno parlato in particolare le opposizioni oggi. La risposta semplice, ma forse non l’unica a questo quesito, è che il 3 per cento costituisce un impegno con l’Europa. Questo è un dato reale alla luce del fatto che pochi mesi fa, il 29 maggio scorso, la Commissione europea aveva tolto l’Italia dalla lista dei sorvegliati speciali in relazione alla procedura dei disavanzi eccessivi sulla base della considerazione che l’Italia aveva conseguito il 3 per cento nel 2012 e si era formalmente impegnata a conseguire quello stesso obiettivo nel 2013, malgrado la pesante recessione in atto.

Va detto che questo è avvenuto dopo continue revisioni verso l’alto dell’obiettivo per il 2013 che, per quanto in gran parte e a mio avviso giustificate dalla recessione, non hanno giovato alla credibilità dell’Italia. Non è vero che solo altri Paesi abbiano ottenuto i cosiddetti sconti. Io vorrei ricordare che nel settembre 2011 l’obiettivo per il 2013 era il pareggio di bilancio (aggiornamento al DEF del settembre 2011). Pareggio nominale di bilancio, non corretto per il ciclo.

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Poi, di correzione in correzione, l’obiettivo è salito allo 0,5 nell’aprile 2012, all’1,8 nel settembre 2012, al 2,9 nell’aprile di quest’anno, al 3,1 nel settembre 2013. Questa sequenza di revisioni verso l’alto da 0 a 3,1, pur giustificate dalla recessione, era però difficile da sostenere ulteriormente senza intaccare la credibilità del processo di risanamento avviato nel 2011, processo di risanamento che sta mostrando i suoi effetti positivi proprio in questi giorni. I tassi di interesse stanno toccando livelli molto bassi e, in qualche caso, addirittura siamo ai minimi storici. Il fatto che ci sia una regola europea è dunque un fattore decisivo per spiegare le ragioni di questo decreto-legge. Vorrei però dire che quasi tutti i Paesi e non solo l’Europa ma tutte le aree del mondo, dopo le esperienze negative degli anni Settanta-Ottanta si sono date delle regole tipicamente, comunque spesso di rango costituzionale per la gestione dei bilanci pubblici.

Anche negli Stati Uniti, come abbiamo visto nelle ultime settimane ci sono regole molto cogenti come ha mostrato tutta la vicenda del cosiddetto shut down, ovvero della chiusura degli uffici pubblici.
Dunque non vi è nulla di speciale nel fatto che l’Europa abbia delle regole. I Paesi est europei e anche alcuni Paesi dell’Unione europea hanno regole più stringenti di quelle che l’Unione europea impone comunque a tutti i suoi membri e tipicamente le regole prevedono dei margini di flessibilità come quelli che noi abbiamo utilizzato dal 2011 ad oggi, ma anche, per ovvi motivi, dei limiti superiori non valicabili.

La questione cruciale naturalmente è se queste regole debbano valere anche in una situazione di gravissima recessione come quella che stiamo attraversando. Io su questo tema troppo ampio farò un’unica considerazione e chiudo.

Credo che occorra fare una distinzione molto chiara. Un conto è dire che l’Unione europea nel suo complesso deve prevedere una politica di bilancio meno restrittiva e che l’onere dell’aggiustamento debba ricadere principalmente sui Paesi più solidi e con un surplus nelle partite correnti della bilancia dei pagamenti e, quindi, essenzialmente sulla Germania. Questa è la posizione che ha espresso nei giorni scorsi il Ministero del tesoro degli Stati Uniti. Questa è la questione su cui oggi stesso apprendiamo è aperta una procedura da parte della Commissione europea. Questo è il tema delle politiche di bilancio a livello europeo.

Tutt’altra questione è se i Paesi strutturalmente in deficit, che comunque hanno sperimentato difficoltà notevoli, come l’Italia negli ultimi anni, debbano fare politiche espansive. Questa posizione, che io sappia, non è stata seriamente sostenuta da nessuno a livello internazionale; è vero che c’è un ampio dibattito sulla questione cosiddetta dei moltiplicatori. È vero che secondo un recente lavoro, molto pubblicizzato e fatto per conto della Commissione europea, i moltiplicatori possono essere tali da rendere conveniente un’espansione del bilancio anche dal punto di vista degli effetti sul rapporto debito/PIL. Ma è anche vero che questo stesso lavoro ampiamente citato, come tutti gli altri lavori seri che ho visto sull’argomento, sostengono l’ovvio e cioè che ciò vale fino a che l’espansione di bilancio non provochi una caduta di fiducia e quindi un aumento dei tassi di interesse necessari per indurre il mercato ad acquistare quantità crescenti di titoli del debito pubblico. A quel punto il valore del moltiplicatore diventa negativo anche perché, come l’esperienza dimostra, dopo eventi di questa natura cioè perdita di fiducia, che spesso è assolutamente repentina, il rischio è quello di essere costretti a fare successivamente manovre ancor più restrittive che vanificherebbero gli effetti di un eventuale moltiplicatore positivo.

Quindi, e concludo davvero, una politica di bilancio prudente, quale quella che sta seguendo il Governo Letta, è in realtà la più utile, la più appropriata per creare le condizioni favorevoli alla ripresa economica. A nessun Governo piace fare politiche di bilancio rigorose. La disciplina non paga dal punto di vista politico. Chi la esercita perde popolarità e indubbiamente si logora in qualche misura nell’opinione pubblica.

Non c’è dubbio che se il Governo venisse meno alle sue responsabilità e attuasse politiche meno responsabili avrebbe molto più consenso e molto meno critiche.
Credo, quindi, sia giusto spendere – e io, comunque, ritengo giusto spendere – una parola di plauso per un Governo che, nel mezzo di tutte le difficoltà che conosciamo, rinuncia ai facili consensi ed esercita quel senso di responsabilità che tutti noi siamo chiamati oggi a riconfermare in quest’Aula, votando questo provvedimento.

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