Giampaolo Galli, Mauro Marè: Imu da riformare più che da abolire. Europa 21/05/2013

Bene ha fatto il governo a mantenere fede all’impegno programmatico in materia di Imu su cui aveva ottenuto la fiducia del parlamento. L’imposta era stata oggetto di promesse elettorali da parte di tutte le forze politiche e ha degli indubbi punti critici, per quello che riguarda le famiglie più povere, oltre che per gli immobili strumentali. Ciò non toglie che eliminare del tutto una qualche forma di imposizione sulle prime case sarebbe un serio errore di politica economica.

Da qui alla fine di agosto, se prevarrà un clima di minore tensione fra le forze politiche, forse ci sarà modo di trovare soluzioni adeguate. La tassazione sulla proprietà della casa, in luogo di altre tasse, è da sempre negli auspici degli economisti e delle organizzazioni internazionali perché è quella che ha i minori effetti negativi sulla crescita economica, è tendenzialmente progressiva, è fra le più difficili da evadere e fra le meno costose da amministrare. È la tassa giusta per finanziare gli enti locali.

Ci sono pochi dubbi sul fatto che, tra le diverse cause della bassa crescita, il livello elevato della pressione tributaria sia fra le principali. La sua riduzione, senza creare nuovo indebitamento, è una priorità del governo. Vi è però anche un problema di composizione del gettito. Tutti gli studi internazionali hanno evidenziato in modo chiarissimo che le varie imposte hanno effetti diversi sulla crescita economica (si veda, ad esempio, questo lavoro delCenter for Tax Policy dell’Ocse e questo di Johansson-Heady-Arnold-Brys-Vartia; e questo lavoro di M. Keen del Fiscal Affairs Department dell’IMF).

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Le imposte ordinarie sul patrimonio, in particolare quelle sulle abitazioni, e quelle sui consumi sono le meno distorsive, mentre quelle sui redditi da lavoro e da impresa sono le più negative per l’economia, perché scoraggiano gli investimenti, l’imprenditorialità, gli sforzi individuali dei lavoratori, autonomi o dipendenti che siano. Una variazione della composizione del prelievo, anche a parità di gettito, può avere effetti notevoli sul potenziale di crescita dell’economia. L’Italia rispetto agli altri paesi Ocse e Ue ha un prelievo fortemente concentrato sulle basi più distorsive e con maggiori effetti negativi sulla crescita. Molti paesi dell’Ue hanno spostato il prelievo su queste altre basi da molto tempo e alleggerito notevolmente quello sui fattori produttivi (si veda Taxation Trends, European Commission, 2013).

Se per coprire il mancato gettito dell’Imu il governo riuscirà a tagliare spese improduttive non potremo che rallegrarci. Rimarrà il rammarico che quegli stessi soldi avrebbero potuto essere utilizzati per ridurre le imposte che davvero frenano la crescita dell’economia.

Quasi tutti i paesi ricorrono alle imposte sulla casa, perché tendono ad avere effetti positivi sull’equità, oltre che sull’efficienza, in quanto il valore del patrimonio immobiliare cresce al crescere del reddito e l’evasione è molto contenuta. In Italia, secondo i dati delle finanze, l’85 per cento per cento dei contribuenti ha pagato meno di 400 euro e solo il 10 per cento ha pagato più di 500 euro. Si stima che, anche per effetto delle detrazioni, i contribuenti con reddito inferiore a 26.000 euro hanno versato meno di 200 euro, una cifra verisimile, anche se i redditi sono quelli dichiarati, dal momento che il gettito di quattro miliardi viene da 17,8 milioni di contribuenti e che dunque il versamento medio per contribuente è stato di 225 euro.

Può apparire strano che su numeri di questo genere sia fatto tanto rumore. Anche qui le ricerche effettuate sulla base dell’esperienza di molti paesi ci vengono in aiuto. Sotto il profilo politico, il punto chiave è che le imposte sulla casa sono molto più trasparenti delle altre forme di imposizione: chiunque può sapere dove abito, ma è molto più difficile sapere qual è il mio reddito. Ciò significa che è molto facile coglierne incongruenze e ingiustizie, come avviene in particolare per effetto di valori catastali che non riflettono i valori di mercato e che richiedono sicuramente una revisione. Ma incongruenze e iniquità esistono anche, e in misura ben maggiore, per le imposte sul reddito. La differenza è che sono meno visibili e appaiono molto meno nel dibattito pubblico.

Si può dunque riformare l’imposta, mitigando anche il peso sulla prima casa, ma non vi sono ragioni per abolirla del tutto. Aggiungiamo, se la abolissimo, faremmo più fatica a far valere le nostre ragioni ai tavoli europei, dal momento che in tutta Europa, Germania e Francia comprese, si paga una tassa sulla prima casa. Non sarebbe dunque facile chiedere sconti sul fronte della disciplina di bilancio, spiegando che abbiamo un drammatico problema di disoccupazione giovanile. Sulla base dei fatti, avremmo dimostrato che in realtà le nostre priorità sono altre.

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